28/05/10

Perchè si spende di meno?

dall'ISTAT la risposta alla situazione che viviamo.

Reddito e potere d'acquisto delle famiglie
Periodo di riferimento: Anni 2000-2009
Pubblicato il: 26 maggio 2010





Reddito reale delle famiglie, popolazione e potere d'acquisto pro capite, in Italia. Numeri indice base 2000=100; migliaia di euro
Fonte Istat.
In Italia, l'impatto della crisi sul reddito disponibile delle famiglie in termini reali ha iniziato a manifestarsi già nel 2008, con una diminuzione del potere d'acquisto dello 0,8 per cento, cui è seguito un ulteriore calo del 2,6 per cento nel 2009; l'andamento risulta peraltro analogo a quello della crisi del 1992-1993. L'esame congiunto della dinamica del reddito reale e della popolazione nell'ultimo decennio mostra come il reddito pro capite abbia segnato, nel complesso, un arretramento. Nel 2009 il potere d'acquisto delle famiglie italiane è risultato superiore del 3,4 per cento rispetto al 2000. Tuttavia, la popolazione residente è cresciuta nel medesimo periodo del 5,8 per cento, cosicché vi è stata una riduzione del reddito pro capite del 2,3 per cento, corrispondente a una perdita di oltre 300 euro per abitante ai prezzi del 2000. Il reddito disponibile reale per abitante aveva segnato l'ultima crescita di rilievo nel biennio 2001-2002 e, dopo una lieve flessione nel 2003, è rimasto stabile intorno a circa 15 mila euro sino al 2007. La caduta degli ultimi due anni ha, quindi, riportato il livello del reddito pro capite al disotto di quello del 2002.

L'indicatore
Nel grafico vengono rappresentati, il reddito reale (o potere d'acquisto) delle famiglie e la popolazione residente (espressi in numeri indice base 2000=100) assieme al potere d'acquisto pro capite (in migliaia di euro). Quest'ultimo indicatore esprime il tenore di vita cui possono accedere gli individui, in termini medi. Gli indicatori relativi al reddito reale delle famiglie sono elaborati nell'ambito dei conti nazionali; il potere d'acquisto pro capite viene calcolato rapportando il reddito alla popolazione media del periodo considerato.

Mobilità sostenibile

25/05/10

Gabanelli: "E ora l'olio di ricino..."


Domenica sera l’ha detto chiaramente agli spettatori di Report. «Se non siete d’accordo con questo provvedimento, fatevi sentire perché presto sarà legge». Una legge che metterà il bavaglio alla stampa e spegnerà le poche voci del giornalismo di inchiesta. Per questo Milena Gabanelli ha chiamato alla mobilitazione il pubblico. Perché «il passo successivo è l’olio di ricino». Intercettazioni ma non solo. Lei ha puntato il dito anche contro la norma che vieta la messa in onda di riprese non autorizzate. Materiale fondamentale per chi fa videoinchieste. Per quel che riguarda le riprese non autorizzate, non sarà più possibile per buona parte di noi documentare quelle situazioni che si alterano completamente quando ti ufficializzi. E sono migliaia. Inoltre non sarà più possibile trasmettere documenti filmati da testimoni occasionali con il telefonino o una videocamera, e parliamo di tutti quei contributi che arricchiscono soprattutto le testate web. È curioso che nessuna proposta di regolamentazione sia comparsa per i filmati di atti di bullismo che finiscono su Youtube».
Tornando al materiale giudiziario, è esagerato dire che calerà il silenzio su buona parte degli scandali italiani? «Direi di no, basti pensare che solo oggi si verrebbe a conoscenza dei dossier Telecom e solo nel 2007 avremmo saputo delle vicende Parmalat. E ancora: nulla sapremmo sui grandi appalti, mentre nel caso di qualche omicidio eccellente sapremmo che tizio è stato ucciso. Punto. Nemmeno in Iran sarebbe tollerabile una legge del genere». Limitazioni ancora più pesanti ricadrebbero po sulle spalle dei giornalisti non iscritti all’albo dei professionisti. Che cosa prevedono?«In nessuna parte del mondo esiste questa distinzione fra professionisti e pubblicisti. All’associazione dei giornalisti si accede per meriti, e non attraverso un esame. Ad uno scrittore che pubblica saggi studiati nelle scuole non è richiesto il tesserino rosso, vale la sua capacità, la sua autorevolezza e competenza. Qui si è deciso che il pubblicista che documenta la prova di un’evasione per esempio, rischia 4 anni di carcere. Tutto questo non c’entra nulla con la necessità di regolamentare la pubblicazione di intercettazioni, che secondo me sarebbe giusta, ma dimostra solo l’intenzione di sopprimere il cane da guardia. Il passo successivo è l’olio di ricino».
Fonte: www.unita.it
25 maggio 2010

24/05/10

La fretta del regime mediocratico

di ILVO DIAMANTI
Può sorprendere la determinazione con cui il governo spinge per approvare il disegno di legge sulle intercettazioni - in fretta, anzi subito, e con poche modifiche. Senza badare al parere dei magistrati, dell'opposizione, di molti giornalisti. Notoriamente "ostili". Senza curarsi neppure del dissenso espresso da esponenti del governo Usa e dalla maggioranza degli italiani (come emerge da alcuni sondaggi).Questo atteggiamento non si spiega solo con la volontà - dichiarata dal ministro Alfano - di tutelare la privacy dei cittadini. E di alcuni in particolare: il premier, i ministri e i leader politici. Per evitare che altri scandali rimbalzino sulla stampa. La fretta del governo riflette anche la voglia di saldare le crepe emerse nel modello di democrazia che si è affermato in Italia, da oltre 15 anni. La "democrazia del pubblico" (formula coniata da Bernard Manin, a cui facciamo spesso riferimento). Personalizzata e mediatizzata. Perché tutto è mediatico, nella "scena" politica. I partiti, in primo luogo. Poi: le istituzioni e, ovviamente, il governo. La personalizzazione è un corollario. Perché sui media vanno le persone, con le loro storie, i loro volti, i loro sentimenti. Non i partiti, le grandi organizzazioni, le istituzioni. Che fanno da scenario, ma non possono recitare da protagonisti. È un modello sperimentato altrove, anzitutto negli Usa. Ma in Italia ha assunto una definizione specifica e originale. In tempi rapidissimi. Merito (o colpa) di Silvio Berlusconi. Insieme: imprenditore mediatico dominante, leader - anzi, padrone - del partito dominante e, naturalmente, capo dell'esecutivo. Presidente "reale" - potremmo dire - di una Repubblica non presidenziale, dove il Presidente "legale" agisce da garante e autorità di controllo.
La conseguenza più nota di questa tendenza è l'avvento di uno "Stato spettacolo" (titolo di un recente saggio di Anna Tonelli, pubblicato da Bruno Mondadori). Dove lo scambio tra pubblico e privato avviene in modo continuo e pervasivo. Dove il consenso si costruisce sui fatti privati. I cittadini diventano il pubblico di uno spettacolo recitato dagli attori politici che si trasformano in attori veri. È difficile "confinare" il privato, in questo modello. Perché la privacy, per prima, è risorsa usata a fini "pubblici". È la conseguenza inattesa e, in parte, indesiderata del regime mediocratico: le stesse logiche, gli stessi meccanismi che alimentano il consenso possono contribuire a eroderlo. O, addirittura, a farlo collassare.
1. In primo luogo, ovviamente, perché il "privato esibito in pubblico" non è "reale". È fiction. Come nel Grande Fratello, dove tutti agiscono "sapendo di essere osservati". (Anche se, con il tempo, se ne dimenticano). Ben diverso è scavare nel "privato reale" attraverso, appunto, le intercettazioni oppure le indagini che entrano nella vita delle persone - dei politici - a loro insaputa. Quando si sentono "al sicuro". Quando non recitano la "commedia della vita quotidiana". Perché, allora, possono uscire segreti "scomodi". Comportamenti talora illeciti, altre volte semplicemente sgradevoli. Perché rivelano uno stile distante dal "privato esibito in pubblico". È il caso delle conversazioni telefoniche fra il premier e i dirigenti Rai. Dove Berlusconi esprime, senza mezze misure, la "sindrome del padrone" (la formula è di Edmondo Berselli). Preoccupato da comici, predicatori, conduttori, moralisti, giornalisti: tutti quelli che deturpano la sua immagine e la sua narrazione. La sua "storia". È il caso, recente, dello scandalo che ha indotto il ministro Scajola alle dimissioni. Costretto non dall'illecito, ma dall'indignazione. Dalla scoperta di un appartamento davanti al Colosseo pagato da altri. Peraltro, a insaputa del beneficiario e a prezzo stracciato. In tempi di crisi, mentre milioni di italiani pagano il mutuo della loro casa con molta fatica. Il che sottolinea la distanza tra questa stagione di inchieste sulla corruzione e Tangentopoli. Allora, nei primi anni Novanta, la corruzione intrecciava il mondo degli affari e "la" politica. E aveva, come primo (non unico) obiettivo, il mantenimento della (costosa) macchina dei partiti. Oggi, invece, lega il mondo degli affari e "i" politici. Intorno a vicende, talora, grandi e dolorose (come il terremoto). Altre volte, invece, piccole e mediocri. (Come quelle suggerite dalla "lista Anemone"). Ma, proprio per questo, altrettanto - e forse più - intollerabili, nella percezione e nel senso comune.
2. L'altra tendenza indesiderata di questo regime mediocratico, soprattutto per chi lo guida, riguarda la "svalutazione del potere" e di chi lo esercita. Rendere pubblico il privato "vero", senza finzioni: manifesta il volto mediocre della politica e di chi governa. Il confine tra i rappresentanti e i rappresentati, tra i leader e i cittadini: scompare. Anzi, i leader politici, gli uomini di governo imitano e giustificano gli istinti più bassi della società. In questo modo, però, perdono autorevolezza, ma soprattutto legittimità, credibilità, consenso. Da ciò l'ossessione di chi ha inventato e imposto, per primo, il sistema mediocratico. La tentazione e il tentativo di controllarne ogni piega. Di prevederne ogni possibile trasgressione. In modo quasi compulsivo. Perché la realtà deve funzionare come un reality; recitato secondo un copione pre-stabilito; e, comunque, orientato e modellato dalla produzione. Quando gli autori, anzi: l'Autore, mentre osserva la "casa del Grande Fratello", si scopre, a sua volta, osservato e ascoltato. E, pochi minuti dopo, si vede ripreso e riprodotto sugli stessi schermi, sulle stesse pagine, sugli stessi giornali. Il "fuori onda" messo in onda, come un'edizione permanente di "Striscia la notizia". Quando il gioco gli sfugge. Allora gli passa la voglia di giocare. E vorrebbe smettere. O meglio: fare smettere gli altri. Cambiare le regole. A dispetto dei magistrati, del governo Usa. E perfino dell'opinione pubblica. La legge sulle intercettazioni. Serve a impedire che si spezzi la magia della "Storia italiana". L'unica biografia del paese veramente autorizzata.
Fonte: Repubblica.it (24 maggio 2010)

14/05/10

Rifiuti, c´è il rischio di una nuova crisi

Bomba Pecorella. «Un anno dopo? C´è il rischio di una nuova crisi rifiuti, e una situazione di disastro ambientale. Gli illeciti persistono anche nelle istituzioni. E non sono stati ancora avviati i lavori di un altro termovalorizzatore».Le parole più dure pronunciate sul dopo Bertolaso vengono non da un comitato anti-discarica, o dalla proverbiale severità dei commissari europei, ma da una delle voci più agguerrite della pattuglia di avvocati-parlamentari del Pdl, Gaetano Pecorella, oggi presidente della commissione d´inchiesta sulle ecomafie. Intanto, alla Provincia di Napoli, è polemica tra maggioranza e opposizione sempre sul versante rifiuti. Da un lato, la giunta Cesaro accredita definitivamente l´inserimento della doppia discarica di Terzigno nel Parco del Vesuvio, dall´altro si finanzia nel bilancio di previsione, con 24 mila euro, la partecipazione al concorso di Ostiafilmfest per la selezione del Vesuvio «tra le 7 meraviglie del mondo». Si chiede il Pd, con il capogruppo Giuseppe Capasso: «Un altro banale spreco, una presa in giro oppure un atto di pura schizofrenia? Qualche giorno fa, il presidente Cesaro ha emanato un decreto con il quale oltre ad aumentare la Tarsu, ai cittadini di Napoli e provincia, dell´11.42 per cento approva surrettiziamente l´apertura della seconda discarica del Vesuvio, prendendo atto dello studio elaborato dalla società provinciale Sap. Per Cesaro il Vesuvio è una risorsa da valorizzare o la pattumiera campana?»Poche ore dopo, ecco il j´accuse di Pecorella, alla seconda giornata di lavori della commissione, dopo la visita alle discariche e ai depuratori del casertano. Pecorella non si sottrae a un commento preoccupato. «Ci troviamo in una situazione da disastro ambientale. Vi è un problema economico del Consorzio unico di Napoli e Caserta, c´è gente in esubero che ha bisogno però di lavorare, poi ci sono i debiti dei comuni sui quali c´è un´attenzione della magistratura», allinea i nodi Pecorella. E aggiunge: «Abbiamo anche un problema di esaurimento di un´unica discarica in funzione e soprattutto non sono stati avviati i lavori per il termovalorizzatore». Insomma, la conclusione di Pecorella è drastica, e non piacerà al Cavaliere e a Bertolaso, che sulla soluzione dell´emergenza acuta in Campania hanno radicato l´immagine del governo del fare. «Dalla visita in Campania di un anno fa è cambiato poco e non è da escludere che possiamo trovarci di fronte a un´altra seria crisi», dice l´avvocato-deputato. Quanto alle ecomafie, Pecorella segnala che «continua a sussistere nel casertano e anche nel napoletano un sistema di illegalità non solo all´esterno ma anche all´interno delle istituzioni». Dichiarazioni che disturbano anche il coordinatore regionale del Pdl, Cosentino, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa e accusato, tra l´altro, proprio di essere sceso a patti con il clan dei Casalesi sul terreno dei rifiuti, della gestione clientelare di un consorzio, persino della “competenza” territoriale rivendicata da una fazione della cosca nella futura gestione del termovalorizzatore di Santa Maria La Fossa (rimasto nero su bianco nei programmi, sebbene di fatto abbandonato). «Finalmente la maggioranza ammette che i problemi sono immensi e attuali, a cominciare dalla persistente illegalità dentro e fuori le istituzioni», dice la deputata casertana del Pd Pina Picierno. «L´avevamo detto da tempo, l´emergenza rifiuti in Campania non è mai finita», taglia corto Alessandro Bratti, capogruppo Pd della commissione. La bomba Pecorella (l´avvocato aveva polemizzato, in estate, con Roberto Saviano: addirittura smontando il movente mafioso dell´uccisione del sacerdote don Peppe Diana), stavolta esplode in casa.
di Conchita Sannino
14 maggio 2010
Fonte: la Repubblica Napoli

09/05/10

La legge che ordina il silenzio stampa

Se la legge sulle intercettazioni verrà approvata nel testo in discussione al Senato, sarà fatto un passo pericoloso verso un mutamento di regime. I regimi non cambiano solo quando si è di fronte ad un colpo di Stato o ad una rottura frontale. Mutano pure per effetto di una erosione lenta, che cancella principi fondativi di un sistema. Se quel testo diverrà legge della Repubblica, in un colpo solo verranno pregiudicati la libertà di manifestazione del pensiero, il diritto di sapere dei cittadini, il controllo diffuso sull'esercizio dei poteri, le possibilità d'indagine della magistratura. Ci stiamo privando di essenziali anticorpi democratici. La censura come primo passo concreto verso l'annunciata riforma costituzionale, visto che si incide sulla prima parte della Costituzione, quella dei principi e dei diritti, a parole dichiarata intoccabile? Se così sarà, dovremo chiederci se viviamo ancora in uno Stato costituzionale di diritto.
Questa operazione sostanzialmente eversiva si ammanta del virtuoso proposito di tutelare la privacy. Ma, se questo fosse stato il vero obiettivo, era a portata di mano una soluzione che non metteva a rischio né principi, né diritti. Bastava prevedere che, d'intesa tra il giudice e gli avvocati delle parti, si distruggessero i contenuti delle intercettazioni relativi a persone estranee alle indagini o comunque irrilevanti; si conservassero in un archivio riservato le informazioni di cui era ancora dubbia la rilevanza; si rendessero pubblicabili, una volta portati a conoscenza delle parti, gli atti di indagine e le intercettazioni rilevanti.
Su questa linea vi era stato un largo consenso, che avrebbe permesso una approvazione a larga maggioranza di una legge così congegnata.Ma l'obiettivo era diverso. La tutela della privacy è divenuta il pretesto per aggredire l'odiata magistratura, l'insopportabile stampa. Non si vuole che i magistrati indaghino sul "mostruoso connubio" tra politica e affari, sull'illegalità che corrode la società. Si vuole distogliere l'occhio dell'informazione non dal gossip, ma da vicende che inquietano i potenti, dal malaffare. Se quella legge fosse stata approvata, non sarebbe stato possibile dare notizie sul caso Scajola, perché si introduce un divieto di pubblicazione che non riguarda le sole intercettazioni.In un paese normale proprio quest'ultima vicenda avrebbe dovuto indurre alla prudenza. Sta accadendo il contrario. Al Senato si vuole chiudere al più presto. E questo è coerente con l'affermazione del presidente del Consiglio, secondo il quale in Italia "c'è fin troppa libertà di stampa". Quale migliore occasione per porre rimedio a questo eccesso di una bella legge censoria?
Scajola, infatti, è stato costretto a dimettersi solo dalla forza dell'informazione. Una situazione apparsa intollerabile. Ecco, allora, il bisogno di arrivare subito ad una legge che interrompa fin dall'origine il circuito informativo, riducendo le informazioni che la magistratura può raccogliere, impedendo che le notizie possano giungere ai cittadini prima d'essere state sterilizzate dal passare del tempo. Non si può tollerare che i cittadini dispongano di informazioni che consentano loro di non essere soltanto spettatori delle vicende politiche, ma di divenire opinione pubblica consapevole e reattiva.Si arriva così all'infinito silenzio stampa, all'opinione pubblica impotente perché ignara dei fatti, visto che nulla può esser detto su qualsiasi fatto delittuoso fino all'udienza preliminare, dunque fino a un tempo che può essere lontano anni dal momento in cui l'indagine era stata aperta. Che cosa resterebbe della democrazia, che non vuol dire soltanto "governo del popolo", ma pure governo "in pubblico"? In tempi di corruzione dilagante si abbandona ogni ritegno e trasparenza, si dimentica il monito del giudice Brandeis: in democrazia "la luce del sole è il miglior disinfettante". Stiamo per essere traghettati verso un regime di miserabili arcana imperii, di un segreto assoluto posto a tutela di simoniaci commerci di qualsiasi bene, di corrotti e corruttori, di faccendieri e di veri criminali.Questo regime non avvolgerebbe soltanto in un velo oscuro proprio ciò che massimamente avrebbe bisogno di chiarezza. Creerebbe all'interno della società un grumo che la corromperebbe ancor più nel profondo. Le notizie impubblicabili, infatti non sarebbero custodite in forzieri inaccessibili. Sarebbero nelle mani di molti, di tutte le parti, dei loro avvocati e consulenti che ricevono le trascrizioni delle intercettazioni, gli atti d'indagine, gli avvisi di garanzia, i provvedimenti di custodia cautelare. Questo materiale scottante alimenterebbe i sentito dire, la circolazione di mezze notizie, le allusioni, la semina del sospetto. Renderebbe possibili pressioni sotterranee, o veri e propri ricatti. Creerebbe un clima propizio ad un "turismo delle notizie", alla pubblicazione su qualche giornale straniero di informazioni "proibite" che poi rimbalzerebbero in Italia.Accade sempre così quando ci si allontana dalla via retta della democrazia e dei diritti. Dal diritto d'informazione in primo luogo, che non è privilegio dei giornalisti, ma diritto fondamentale d'ogni persona, la premessa della sua cittadinanza attiva, del suo "conoscere per deliberare". Ce lo ricordano le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, dov'è sempre ripetuto che "la libertà d'informazione ha importanza fondamentale in una società democratica". In una sentenza del 2007, che riguardava due giornalisti francesi autori d'un libro sulle malefatte di un collaboratore di Mitterrand, la Corte ha ritenuto che la notorietà della persona e l'importanza della vicenda rendevano legittima la pubblicazione anche di notizie coperte dal segreto. In una sentenza del 2009 si è messo in evidenza che eccessivi risarcimenti del danno a carico di giornalisti e editori possono costituire una forma di intimidazione che viola la libertà d'informazione: che cosa dovremmo dire quando, da noi, il testo all'esame del Senato impugna come una clava le sanzioni pecuniarie con chiaro intento intimidatorio? E guardiamo anche agli Stati Uniti, al fermo discorso di Hillary Clinton sul nesso tra democrazia e libertà di espressione su Internet, alle ultime sentenze della Corte Suprema che, pure di fronte a casi sgradevoli e imbarazzanti, ha riaffermato la superiorità del Primo Emendamento, appunto della libertà di espressioneUn velo d'ignoranza copre gli occhi del legislatore italiano. Ma non è il benefico velo che lo mette al riparo da pressioni, da influenze improprie. È l'opposto, è la resa alla imposizione di chi non vuole che si guardi al mondo quale veramente è. Nasce così un'anomalia culturale, prima ancora che giuridico-istituzionale. Ci allontaniamo dai territori della civiltà giuridica, e ci candidiamo ad esser membri a pieno titolo del club degli autoritari Certo la nostra Corte costituzionale prima, e poi quella di Strasburgo, potranno ancora salvarci. Intanto, però, la voce dei cittadini può farsi sentire, e non è detto che rimanga inascoltata.
di STEFANO RODOTÀ
Fonte: Repubblica.it
(08 maggio 2010)