Da "il Mattino" del 6 dicembre:
08/12/09
Congresso Pd: un nuovo imbroglio!
Da "il Mattino" del 6 dicembre:
03/12/09
Dieci punti su cui ragionare
Dieci punti suggeriti dal Segretario Regionale del PARTITO DEMOCRATICO Enzo Amendola su cui costruire una piattaforma programmatica di alleanza tra forze di centro e di sinistra per il governo della Campania.
- “Nessuno ai margini”: lotta alla povertà attraverso la formazione professionale e l´estensione del reddito di cittadinanza.
- “Donne innanzitutto”: mettere al centro la parità di genere, sia per l´accesso al lavoro che per i livelli salariali.
- “Sicurezza sociale”: liberalizzare il mercato del lavoro, riformare i centri per l´impiego, finanziando gli individui non gli enti attraverso un voucher formativo.
- “Sanità per tutti”: riforma complessiva del sistema sanitario, qualificazione delle strutture e fondazione di una rete di strutture primarie.
- “Rivoluzione verde”. L´emergenza rifiuti, dice Amendola, «è stata una pagina dolorosa che ancora pesa nel ricordo di tutti e segna uno spartiacque nella storia recente della regione». Il ritorno all´ordinario dev´essere gestito con la massima attenzione sul ciclo integrato dei rifiuti, «dalla differenziata agli impianti finali».
- "Industria 2010″: difesa del sistema produttivo campano, «fatto anche di eccellenze».Sostenere «l´innovazione nei settori tradizionali e le nuove filiere produttive».
- “Campani italiani europei”: cogliere le opportunità e «vivere il processo d´integrazione non in maniera burocratica».
- “Nuove rotte”: nel Mediterraneo, dice Amendola, «non vogliamo essere soltanto una piattaforma logistica. Occorre una svolta decisa su agricoltura, energia, ricerca, trasferimento tecnologico, telecomunicazioni».
- “Controesodo”, come «il vero scudo fiscale, quello del Pdl più che uno scudo è una corazza». L´idea è di «riportare a casa i capitali umani, i giovani talenti costretti a emigrare». Gli strumenti? Credito d´imposta, borse di studio, procedure semplificati per i visti.
- “Federalismo”.
01/12/09
Disoccupati ad honorem........
La crisi sta picchiando più duro soprattutto sui giovani. E tra i giovani si accanisce di più su quelli bravi. Soprattutto in un Paese immobile come l'Italia, dove i giovani sono destinati a restare una generazione senza voce. Perché, se le aziende si strappano i capelli denunciando che non riescono a trovare tornitori e meccanici e, come dice Unioncamere, l'offerta di lavoro per gli infermieri è del 50% inferiore alla domanda, quella che è crollata è la richiesta di figure di un certo spessore. Insomma, chi più ha investito sulla propria preparazione, chi ha cercato di essere competitivo raggiungendo i risultati migliori, non trova più nella buca delle lettere, come accadeva al dottor Siracusano padre, decine e decine di offerte di lavoro. Key2People, società di executive search, ha studiato il mercato del lavoro dell'ultimo anno e ha fatto scoperte sconvolgenti, presentate in un recente seminario alla Luiss: messi a confronto i primi tre mesi del 2008 con il gennaio, febbraio e marzo del 2009, ha evidenziato un calo nella richiesta di giovani laureati pari al 46 per cento. Il settore che ha fatto registrare il crollo più significativo - 52 per cento - è quello della logistica: 11.100 domande un anno fa contro le 5.400 di quest'anno; meno 35 per cento per il settore produttivo; meno 36 per l'information technology; meno 33 nelle risorse umane; meno 45 per marketing e comunicazione; meno 25 per amministrazione e finanza. Tengono i ruoli delle vendite, con un segno negativo che è "solo" del 9 per cento; e registra un segno positivo - più 6 - soltanto il settore legale, con una modesta offerta per fiscalisti, avvocati di diritto societario, giuslavoristi. "Le nostre ultime rilevazioni - dice Cristina Calabrese, partner di Key2People - mostrano che il mercato degli annunci, cioè la ricerca di personale qualificato, ha subito un crollo, con alcune aree che hanno chiuso completamente i battenti". Colpa della congiuntura, non c'è dubbio. "Per un'azienda - aggiunge Calabrese - assumere un neolaureato vuol dire avere risorse a disposizione per investire su di lui; e nei periodi più critici c'è molta offerta, anche qualificata, a un prezzo inferiore, dunque assumere giovani non è competitivo". Gli economisti Paul Beaudry e John Dinardo avevano già formulato questa sorta di legge economica: chi esce dall'università in un momento di crisi entrerà nel mercato del lavoro a condizioni peggiori e ne pagherà il prezzo per tutta la carriera. Andrea Ichino, che insegna Economia dell'istruzione a Bologna e ha appena mandato in libreria "L'Italia fatta in casa", dice: "In un momento di crisi di queste dimensioni è ragionevole aspettarsi che le aziende non cerchino: ma succede anche ad Harvard, a Standford. Quello che bisognerà vedere, piuttosto, è se l'anno prossimo la tendenza si invertirà". Ichino è ottimista: "La crisi sta già passando; quello che stiamo registrando adesso non sarà per l'eternità". Anche Guido Tabellini, rettore della Bocconi, distingue il trend dal momento congiunturale e un evento recente gli dà ragione: al Bocconi & Jobs del 7 novembre, l'incontro tra i laureati e il mondo del lavoro, si sono presentate 87 imprese, il 40% in più rispetto al 2008. "Le aziende - assicura il rettore - continuano a essere molto interessate ai nostri studenti, e il 60% trova un'occupazione ancora prima di uscire dall'università. Certo, qualcosa è cambiato: uno su cinque dei nostri ragazzi, adesso, il lavoro lo trova all'estero". Se sia una fuga obbligata o una scelta, è difficile dire. Elisabetta Tarizzo, ad esempio, pensando al futuro ha cominciato a trasferirsi a Londra già per studiare: vorrebbe occuparsi di beni culturali, ma ha presente che nel Paese più ricco di arte del mondo non c'è posto per gli specialisti del settore e allora spera che un corso di studi al Courtauld Institute of Art sia un lasciapassare migliore. Il fatto è che in Italia c'è un "tappo". Roger Abravanel, l'autore di un libro-cult "Meritocrazia", lo spiega così: "Qui da noi il blocco è nella leadership, sia in politica che nelle imprese. La nostra è una società immobile, che non riconosce il merito: si premia la struttura padronale, familiare, che basta a se stessa e che non si mette in competizione. E i giovani bravi o si affidano alle raccomandazioni o se ne vanno". L'analisi di Abravanel, che è già stato chiamato a fare 300 conferenze in giro per l'Italia (segno di una diffusa sensibilità all'argomento), è impietosa: "La meritocrazia in Italia non esiste, la selezione avviene solo sulla base del nome che porti o della famiglia a cui appartieni, mentre all'estero, ad esempio nei Paesi emergenti come la Cina, la scuola ha come obiettivo quello di azzerare i privilegi di nascita. Noi siamo vecchi, conservatori. E, se non vuoi crescere, non ti servono i giovani e nemmeno i talenti". Che il problema non sia solo dei giovani, ma del Paese, è anche opinione del rettore Tabellini. "Viviamo in un mondo globale, e non è negativo che i nostri ragazzi trovino lavoro all'estero - osserva - è preoccupante, però, che non ci siano stranieri che vengono a trovare lavoro nel nostro Paese". Cammelli aggiunge un dato: "L'anno scorso abbiamo ceduto alle aziende, italiane e straniere, 450mila curricula di laureati. Quest'anno abbiamo avuto il 27% in meno di richieste, anche per lauree come ingegneria e informatica. Se le aziende fanno fatica, rischiano di dover ridurre per primi gli investimenti sul capitale umano e questo vuol dire ipotecare il futuro: una volta usciti dalla crisi, ci ritroveremo all'ultimo posto". L'Italia all'ultimo posto e i nostri ragazzi in giro per il mondo a far vedere quanto sono bravi.
04/11/09
Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti
28/10/09
Comunicato Primarie del 25 ottobre a Paternopoli
Svolgendo il compito di Presidente di Seggio ho avuto il piacere di constatare che hanno partecipato al voto anche candidati, dell’ultima tornata elettorale, al Consiglio Provinciale, in altri partiti del Centrosinistra.
Sono sicuro che essi sapranno e vorranno contribuire al meglio alla costruzione del profilo politico del PD.
Il Presidente del Seggio elettorale dott. Federico Troisi
25/10/09
COMUNICATO STAMPA - Coordinamentyo Provinciale Avellino
Il cocomeraio di Paternopoli, che solo il degrado della politica può far passare per un dirigente, non tollerando di poter essere controllato nella gestione delle primarie, ha vomitato veleno ed ingiurie intollerabili verso il dr. Federico Troisi, che è stato indicato dalla Commissione Provinciale quale presidente del seggio in quel paese.
Federico Troisi non abbisogna della mia difesa: il suo percorso coerente in politica e la dirittura professionale e personale ne hanno fatto da tempo un riferimento essenziale per quanti hanno avuto il piacere di conoscerlo e lavorarci assieme. La denigrazione rivolta ad un galantuomo serve essenzialmente a fargli gettare la spugna, a convincerlo che, se quello è il livello della politica, non valga la pena impegnarvi passione e tempo. Poiché questo è quanto si propone questa schiuma sporca che la politica lascia ai suoi bordi nelle fasi difficili, sono sicuro che Federico terrà duro, per quanto gli costi questa condizione.
Sorprende il silenzio di chi per la funzione di garanzia che è chiamato ad occupare dovrebbe assumere come primo compito la difesa delle regole e dell’onorabilità dei militanti del PD irpino. Ma sorprende anche lo spazio che a certe sparate vengono date dalla stampa. Eppure il folclore di tali personaggi, la loro assoluta ininfluenza, il discredito nel loro paese, erano stati già abbondantemente certificati dalle prove elettorali recenti nelle quali, sulla loro faccia, alle provinciali, si erano riconosciuti appena 121 elettori dei pur pochi 350 che avevano votato il PD alle europee…
Questo è purtroppo il punto a cui siamo…
Lucio Fierro
Le Primarie del PD: fra folclore e fascismo di ritorno
In particolare, in rifermento alla non accettazione della mia designazione a Presidente del seggio elettorale a Paternopoli, poiché, è scritto, "noto demitiano che ha fatto voti per l'UDC alle ultime elezioni", facendo balenare l'ipotesi che la mia designazione avrebbe potuto comportare una riduzione del numero dei partecipanti al voto a livello locale.
Sono stato molto combattuto sul tenore da dare a questa mia nota da inviare ai giornali. In verità sono stato anche molto combattuto se inviarla o meno. Se costringermi ad una valutazione minimalista, considerando lo scritto del Forgione come puro folclore, o considerarlo come meritevole di essere sottoposto all'attenzione di un buon avvocato.
Nel dubbio, non ancora risolto, spero che vengano pubblicate integralmente queste mie poche riflessioni.
Perchè il Tizio alza talmente il tiro, fa un'accusa così gratuita e falsa rischiando persino la denuncia?
Il motivo principale è uno solo: contrariamente che in altre circostanze, non sarà possibile inventarsi a piacere il numero dei votanti e gestire il voto senza rispetto delle regole, come se Paternopoli fosse in territorio afgano. In altre circostanze ci si sarebbe potuto vantare di 200, oppure perchè no, di 400 votanti ed ancor più. Con Troisi Presidente non sarà possibile.
Nello stesso tempo, egli tenta di reiterare nei miei confronti l'operazione di killeraggio politico che prova sempre a mettere in atto nei confronti di teme, con il quale non è in condizione di confrontasi. Con l'obiettivo di costringerlo a farsi da parte, ad autoescludersi pur di non aver a che fare con lui e con i suoi metodi. Propri del fascismo di ritorno di chi prova ad utilizzare la denigrazione attraverso i mezzi di comunicazione come una volta il manganello e l'olio di ricino.
Altro che politica inclusiva e partecipazione. Altro che rispetto delle persone e delle opinioni. Nulla è più lontano dal PD rispetto all'interpetrazione di linea politica che di esso si dà a Paternopoli.
Se arriverà il momento che la dirigenza provinciale ne prenderà coscienza, sarà comunque tardi, visto che in ballo vi è anche una candidatura a Segretario Provinciale del Partito.
Qui, oltre tutto, tocca vedere i più accesi bassoliniani trasformati nei più feroci antibassoliniani. Tocca vedere fondatori della sezione locale di quello che era il Partito di De Mita ed osannanti demitiani ( molti ricordano ancora il manifesto "Ben tornato Presidente") trasformati in antidemitiani doc, nonché in accusatori nei confronti di altri di essere stati quello che essi sono stati.
Per quel che mi riguarda, io scelsi da giovanissimo i valori della Sinistra. Essenzialmente perché essa si poneva dalla parte dei deboli anziché dei forti, degli emarginati e dei poveri anziché dei ricchi. Ho militato nel PCI seguendone le evoluzioni in PDS, DS e poi PD. Seguendone sempre le scelte al momento del voto. Sia in campo nazionale che locale.
Diceva Seneca : sono malaticcio e zoppicante. Ma rispetto ai miei detrattori sono un campione della corsa, un vero corridore.
Anch'io, come Seneca, so di non essere privo di limiti. Come lui posso essere considerato malaticcio e zoppicante. Ma, politicamente, rispetto a chi vorrebbe ergersi a censore e detrattore nei miei confronti, sono Usaim Bolt, il campione del mondo dei 100 metri.
05/10/09
Autarchia energetica
Nel migliore dei mondi ambientalmente possibili del nostro Belpaese non manca un piano specifico per l'idrogeno: è stata posata la prima pietra per l'impianto che a Bolzano produrrà il nuovo combustibile utilizzando energia elettrica idroelettrica mentre a Rovereto sarà utilizzato il fotovoltaico e sul valico l'eolico grazie ad un progetto con Tirolo austriaco e Baviera che prevede che distributori di idrogeno in tutte le aree di servizio del tratto dell'autostrada del Brennero da Verona a Monaco.
28/09/09
Lo scudo e l'utilizzatore finale di MASSIMO GIANNINI
04/09/09
La campagna congressuale del P.D. e le scelte da operare
A Veltroni (e Franceschini) va riconosciuto il merito di aver tracciato un solco, una traccia, un riferimento su cui è ora possibile confrontarsi, produrre proposte, operare scelte ed aggiustare il tiro valutandone i risultati rispetto agli obiettivi.
A livello generale non si può certo dire che ci troviamo di fronte ad un bilancio brillante.
Nel P.D. che io ho vissuto più da vicino, in aggiunta, l’ha fatta da padrone la comunicazione, il luccichio e l’apparenza. Mai la parola “partecipazione” è stata tanto abusata e vuota di significato come in questa fase. In quante parti è accaduto che nei congressi di circolo siano stati coinvolti gli elettori delle Primarie ed i simpatizzanti? Non vi sono forse stati congressi celebrati solo sulla carta che hanno comunque avuto riconosciuti i crismi dell’ufficialità? In quante circostanze vi sono state scelte politiche condivise ed iniziative concepite per coinvolgere ed includere? Quando, in che circostanza è stata messa in atto un’azione politica inclusiva, finalizzata alla valorizzazione dell’apporto di chiunque? Nella mia esperienza giammai o giù di lì, sebbene iniziative ne siano state prodotte a iosa. Semmai ha trovato spazio l’Antipolitica. E’ toccato persino assistere alla chiamata dei carabinieri allo scopo di tenere lontano chi chiedeva solo di essere coinvolto.
Perché tutto questo è stato possibile? Perché, secondo me, vi è stata una assenza di Politica e di Partito organizzato, capace di discutere al suo interno, nonchè dotato di regole condivise e da rispettare.
Di che cosa ha bisogno, quindi il P.D., ora, per rivitalizzarsi e crescere secondo le aspettative mie e di tanti come me che stentano a trovarsi a proprio agio in questo partito nuovo? Che cosa è “nuovo” ora, in questa fase se non voltare pagina rispetto a questa situazione?
Tutte le posizioni in campo in vista della fase congressuale sono rispettabili perché tutte ricomprendono nella loro proposta i valori fondamentali che contraddistinguono storicamente la Sinistra (eguaglianza, solidarietà con i deboli, non violenza, difesa dell’ambiente). Non mi sfugge che la proposta di Franceschini non è la semplice prosecuzione del presente. Né che è di grande spessore e rilevanza la proposta di Marino, sebbene troppo sbilanciata sul tema della laicità. Tuttavia, la risposta all’attuale condizione che a me pare più giusta e che condivido è quella proposta da Bersani ( ed Amendola a livello regionale) poiché punta con più chiarezza delle altre a fare del P.D. un Partito di Sinistra, con forti connotati laici ed articolata forma organizzativa. La sua proposta evoca l’Ulivo, cioè una vasta alleanza di forze unite da un programma, superando l’idea del Partito autosufficiente. Mira, infine, ad un’alleanza con il centro cattolico e moderato, l’U.D.C., prendendo atto che da solo il PD è destinato alla sconfitta, non solo in campo nazionale.
Trovo ingeneroso chi liquida la proposta di Bersani come un ritorno al passato. Trovo ingeneroso ed autolesionista il “fuoco amico” sparato contro Bassolino e la sua esperienza amministrativa, quasi a voler ignorare che senza di lui o il suo apporto, dietro l’angolo, per il P.D. non ci sono rose e fiori. Figurarsi contro di lui.
Federico Troisi – P.D. Paternopoli
01/09/09
IDEE PER IL PD E PER L’ITALIA
Ciò che abbiamo realizzato nei primi venti mesi è al di sotto del progetto che intendevamo perseguire.
Ciò che il Pd aveva di meglio da dire agli italiani non lo ha ancora detto.
Il non ancora del Pd indica ciò che possiamo diventare: il grande partito riformista che milioni di italiani non hanno avuto, la forza capace di unire Sud e Nord e di portare l’Italia nel XXI secolo, l'energia civile per arricchire la nostra democrazia, il fermento di una nuova cittadinanza italiana ed europea. Davanti a noi sono anche stringenti compiti politici: il Pd è nato per rendere possibile il cambiamento nell’Italia di oggi, per rendere convincente la proposta di governo.
Vogliamo rivolgerci ai nostri aderenti e agli elettori, a coloro che abbiamo smarrito per strada e a coloro che sono impegnati ad attuare il progetto. Vogliamo che il PD sappia convincere e vincere.
Tutto ciò è nelle nostre possibilità, è a carico della nostra responsabilità ed è l’obiettivo di questa mozione.
Come realizzarlo è sintetizzato nelle seguenti proposte politiche, culturali e organizzative che chiediamo a tutti gli iscritti di sostenere e di proporre agli elettori.
Siamo tutti fondatori. Nessuno può dire io sono il Pd e gli altri non ne sono parte. Ecco l'essenza del Pd: amalgamare e unire persone diverse, incrociare percorsi che vengono da lontano con la freschezza di chi si è appena messo in cammino, intendersi parlando anche lingue differenti.
E per prima cosa dobbiamo porci una domanda: perché il Pd ha deluso le aspettative che aveva suscitato, perdendo voti, invece di allargare i consensi in tutte le direzioni?
E’ successo perché la vocazione maggioritaria si è ridotta alla scorciatoia del nuovismo politico, mentre avrebbe richiesto un paziente lavoro di radicamento rivolgendosi con concretezza ai ceti popolari, alle categorie produttive e ai veri innovatori.
E’ successo perché invece di fondare un partito mai visto nella storia italiana, si è preferita spesso la suggestione mediatica alla definizione di una riconoscibile identità politica.
E’ successo soprattutto perché, dopo aver invocato la partecipazione popolare alle Primarie ed aver ottenuto la risposta formidabile di quasi quattro milioni di cittadini, non si è riusciti a costruire una organizzazione plurale e aperta in grado di coinvolgerli .
Non si dica che i nostri problemi sono venuti dal presunto tradimento di un’ispirazione originaria.
Sono venuti dal non aver collocato il progetto su basi solide. Questo è il nodo che il Congresso deve sciogliere. Un Congresso, quindi, fondativo del nostro partito.
Pierluigi Bersani
07/08/09
Lettera aperta al ministro Gelmini
Riporto una divertente lettera di Claudio Magris pubblicata dal Corriere della Sera di "incitamento" al ns. caro sano campanilismo.
"Ministro, cambiamo i programmi: «El moroso de la Nona» al posto della Divina Commedia
Signor ministro, mi permetto di scriverLe per suggerirLe l'opportunità di ispirare pure la politica del Ministero da Lei diretto, ovvero l'Istruzione — a ogni livello, dalla scuola elementare all'università — e la cultura del nostro Paese, ai criteri che ispirano la proposta della Lega di rivedere l'art. 12 della Costituzione, ridimensionando il Tricolore quale simbolo dell'unità del Paese, affiancandogli bandiere e inni regionali. Programma peraltro moderato, visto che già l'unità regionale assomiglia troppo a quella dell'Italia che si vuole disgregare.
Ci sono le province, i comuni, le città, con i loro gonfaloni e le loro incontaminate identità; ci sono anche i rioni, con le loro osterie e le loro canzonacce, scurrili ma espressione di un’identità ancor più compatta e pura. Penso ad esempio che a Trieste l'Inno di Mameli dovrebbe venir sostituito, anche e soprattutto in occasione di visite ufficiali (ad esempio del presidente del Consiglio o del ministro per la Semplificazione) dall’Inno «No go le ciave del portòn», triestino doc.
Ma bandiere e inni sono soltanto simboli, sia pur importanti, validi solo se esprimono un'autentica realtà culturale del Paese. È dunque opportuno che il Ministero da Lei diretto si adoperi per promuovere un'istruzione e una cultura capaci di creare una vera, compatta, pura, identità locale.
La letteratura dovrebbe ad esempio essere insegnata soltanto su base regionale: nel Veneto, Dante, Leopardi, Manzoni, Svevo, Verga devono essere assolutamente sostituiti dalla conoscenza approfondita del Moroso de la nona di Giacinto Gallina e questo vale per ogni regione, provincia, comune, frazione e rione. Anche la scienza deve essere insegnata secondo questo criterio; l'opera di Galileo, doverosamente obbligatoria nei programmi in vigore in Toscana, deve essere esclusa da quelli vigenti in Lombardia e in Sicilia. Tutt'al più la sua fisica potrebbe costituire materia di studio anche in altre regioni, ma debitamente tradotta; ad esempio, a Udine, nel friulano dei miei avi. Le ronde, costituite notoriamente da profondi studiosi di storia locale, potrebbero essere adibite al controllo e alla requisizione dei libri indebitamente presenti in una provincia, ad esempio eventuali esemplari del Cantico delle creature di San Francesco illecitamente infiltrati in una biblioteca scolastica di Alessandria o di Caserta.
Per quel che riguarda la Storia dell’Arte, che Michelangelo e Leonardo se lo tengano i maledetti toscani, noi di Trieste cosa c’entriamo con il Giudizio Universale? E per la musica, massimo rispetto per Verdi, Mozart o Wagner, che come gli immigrati vanno bene a casa loro, ma noi ci riconosciamo di più nella Mula de Parenzo, che «ga messo su botega / de tuto la vendeva / fora che bacalà».
Come ho già detto, non solo l’Italia, ma già la regione, la provincia e il comune rappresentano una unità coatta e prevaricatrice, un brutto retaggio dei giacobini e di quei mazziniani, garibaldini e liberali che hanno fatto l'Italia. Bisogna rivalutare il rione, cellula dell'identità. Io, per esempio, sono cresciuto nel rione triestino di Via del Ronco e nel quartiere che lo comprende; perché dovrei leggere Saba, che andava invece sempre in Viale XX Settembre o in Via San Nicolò e oltretutto scriveva in italiano? Neanche Giotti e Marin vanno bene, perché è vero che scrivono in dialetto, ma pretendono di parlare a tutti; cantano l’amore, la fraternità, la luce della sera, l’ombra della morte e non «quel buso in mia contrada»; si rivolgono a tutti — non solo agli italiani, che sarebbe già troppo, ma a tutti. Insomma, sono rinnegati.
Ma non occorre che indichi a Lei, Signor Ministro, esempi concreti di come meglio distruggere quello che resta dell’unità d’Italia. Finora abbiamo creduto che il senso profondo di quell’unità non fosse in alcuna contraddizione con l'amore altrettanto profondo che ognuno di noi porta alla propria città, al proprio dialetto, parlato ogni giorno ma spontaneamente e senza alcuna posa ideologica che lo falsifica. Proprio chi è profondamente legato alla propria terra natale, alla propria casa, a quel paesaggio in cui da bambino ha scoperto il mondo, si sente profondamente offeso da queste falsificazioni ideologiche che mutilano non solo e non tanto l’Italia, quanto soprattutto i suoi innumerevoli, diversi e incantevoli volti che concorrono a formare la sua realtà. Ci riconoscevamo in quella frase di Dante in cui egli dice che, a furia di bere l'acqua dell’Arno, aveva imparato ad amare fortemente Firenze, aggiungendo però che la nostra patria è il mondo come per i pesci il mare. Sbagliava? Oggi certo sembrano più attuali altri suoi versi: «Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello!».
Con osservanza"
20/07/09
Il Congresso del PD, Beppe Grillo e la Democrazia Pop
Ilvo Diamanti in un interessante articolo comparso su Repubblica di Domenica 19 Luglio, partendo da Berlusconi e le sue più recenti vicende, arriva alla conclusione che ognuno di noi è contemporaneamente diverse persone, nel senso che “Siamo tutti almeno un poco opportunisti, egoisti, xenofobi, intolleranti, bugiardi, evasori (latenti) trasformisti…. Ma siamo tutti- almeno un poco – anche altruisti, generosi, ospitali, dotati di civismo, sinceri, aperti, felici di stare i comunità. E ci sentiamo tutti- almeno un poco- infastiditi da chi dice bugie, evade, frega il prossimo, tratta male gli altri, è arrogante, prepotente, usa le cose pubbliche come se fossero private e le private come se fossero pubbliche. Tutti, in particolare quando ci trasformiamo in vittime di questi atteggiamenti. Per cui siamo capaci di grandi slanci e grandi chiusure. Per questo ogni raffigurazione unilaterale e caricata è irreale quanto iper reale. E’ la pop art della democrazia pop”.
Quanto avvenuto circa la vicenda tessera a Beppe Grillo, a me sembra una rappresentazione plastica, una traduzione pratica del tipo di democrazia di cui parla Diamanti: Beppe Grillo feroce fustigatore del P.D. che chiede la tessera del P.D. per diventarne il segretario nazionale; un partito che si definisce democratico ma non permette a chiunque di poterne far parte, adducendo motivazioni regolamentari più che di merito; affermazioni di perfetta consonanza con Veltroni e contestuale disconoscimento dell’organizzazione partito (Regolamento e Comitato di Garanzia) da lui voluti; Regolamento del partito, scritto ed approvato a garanzia di tutti (qualsiasi Circolo delle Bocce o Circolo Cacciatori ne ha uno), calpestato e deriso da chi invece dovrebbe farlo rispettare; Comitato di Garanzia (?) vissuto come organo burocratico stile PCUS che non garantirebbe nulla e nessuno se non i potenti di turno; ipergarantismo nei confronti di Grillo, soggetto estraneo al partito, e contestuale intolleranza, fino all’idiosincrasia nei confronti di D’Alema (definito ayatollah)) e di Bersani (il muezzin)….
L’intera vicenda sembra essere quel mix di contraddizioni che contestualmente convivono nella pop art della democrazia di cui parla Ilvo Diamanti. Uno “specchio unico in cui si riflette, ripetuta e dilatata all’infinito, l’immagine del berlusconi- che –è- in- noi., fino a frapporla al nostro profilo”.
E’ una condizione inquietante e potenzialmente disgregante, quasi di pessoiana memoria, in quanto può contribuire a frantumare ulteriormente, se non ad affossare, il partito.
Nello stesso tempo si presta ad essere colta come occasione per spostare la discussione congressuale (anche) su temi propri e/o prossimi alle battaglie civili di Grillo, quali ambiente, istruzione, immigrazione. Sul futuro più che sul passato. Declinando al presente i valori di libertà, fratellanza ed eguaglianza, costitutivi del Partito che vorremmo ed in cui osiamo ancora sperare, nonostante tutto.
Federico Troisi
Svendono l’Italia solo per fare cassa
ROMA—«Stanno svendendo l’Italia solo per ricavare un utile immediato. Sul paesaggio, sul territorio italiani non c’è più da nutrire preoccupazione: ma autentica disperazione. Sarà una rovina irreversibile di cui soffriranno le nuove generazioni. E poi ne risentiranno il turismo, che abbandonerà il nostro Paese, e già sta avvenendo. Poi la salute, l’identità, le radici stesse degli italiani». Giulia Maria Crespi parla dalla sua casa in Sardegna, ma è in continuo collegamento con gli uffici del Fai, il Fondo ambiente italiano, trust privato che negli anni è riuscito a sottrarre straordinari beni culturali italiani alla speculazione e alla scomparsa. Un’esperienza citata in Europa come un modello di tutela in mano ai privati.
Qual è la ragione del suo allarme, signora Crespi?
«Prima di tutto la sorte del Codice dei Beni culturali, varato dal ministro Giuliano Urbani, in mezzo a mille difficoltà, sotto il precedente governo Berlusconi e concluso da Francesco Rutelli. Sandro Bondi mi aveva dato la sua parola d’onore davanti a quattro testimoni che la parte relativa al paesaggio sarebbe entrata in vigore a gennaio scorso, poi a giugno di quest’anno. Infine lo slittamento alla fine di dicembre... ».
Parla dell’articolo 146 che attribuisce ai soprintendenti il potere di esprimere un parere obbligatorio e vincolante sugli interventi nelle aree protette e che non è ancora andato in vigore?
C’è un regime di proroga... «Penso proprio a quel problema. I soprintendenti calano di numero e hanno sempre meno mezzi a disposizione. Ora c’è questa proroga che consente ai soprintendenti di pronunciarsi solo a cose fatte, a progetto varato. Intanto le regioni stanno approntando i loro piani. Il Veneto prevede la possibilità di intervenire nel 40% del territorio. La Lombardia nel 35% con la possibilità di intervenire anche nei parchi regionali. Allucinante. L’Umbria le sta seguendo. Altra tragedia: ora i comuni permettono ai costruttori di autocertificarsi l’idoneità del progetto. Sono insegnamenti che definirei di gravissimo scadimento morale dell’intero sistema italiano».
Bondi ha assicurato che la proroga finirà a dicembre...
«Spero. Anche se non ci credo più. Senza il Codice completo, il Piano Casa potrà avere effetti devastanti, purtroppo irreversibili sul paesaggio».
Dice però Berlusconi: con le nuove regole del Piano Casa verranno rimessi in circolazione tra i 70 e i 150 miliardi di euro ora inoperosi nelle banche. Non temete di apparire come ostacoli alla ripresa dell’economia?
«Questo è quello che dice Berlusconi, poi bisogna vedere se gli effetti economici saranno davvero quelli... Ma io guardo al futuro. Il Piano Casa prevede la possibilità di abbattere vecchi edifici, di aumentarne la cubatura, di stravolgere insomma interi panorami. Unico Paese in Europa: guardiamo cosa avviene in Francia o altrove. Ma qui non c’è solo il Piano Casa. È tutto un sistema... ».
A cosa si riferisce in particolare, signora Crespi?
«Ho tanti altri esempi che addolorano solo al pensarli. In Lombardia, nel cuore del parco del Curone, cioè della Brianza ancora ben conservata, un meraviglioso parco di 2.700 ettari, è pronto uno studio di fattibilità per permettere alla società australiana Australian Po Valley, per il 50% di proprietà Edison, di estrarre petrolio. Petrolio lì! Con conseguente emissione di acido solforico che avrà un’azione intossicante nell’arco di dieci chilometri, col problema dello smaltimento dei fanghi. Tutti i 21 comuni, di qualunque colore, e la provincia di Lecco protestano ma non hanno potere di bloccare il piano perché è stato dichiarato di pubblica utilità! Come si può solo immaginare tutto questo?».
Altri esempi che la preoccupano?
«Ho ancora un esempio legato alla Lombardia che, nel suo piano prevede la possibilità di intervenire addirittura nelle aree protette. Per esempio nel meraviglioso Parco Agricolo Sud: 47 mila ettari! Altro massacro che resterà indelebile che distruggerà un’area ricca di fontanili antichi, terreno ad alta fertilità, piena di antiche abbazie e cascine forzesche. Un polmone verde per i milanesi».
Se la prende con questo governo?
«Io credo che ormai circoli un ragionamento trasversale: fare soldi subito. E poi, dopo di me il diluvio. Lo disse Luigi XV, ma dopo ci fu la Rivoluzione francese. E dopo, per noi, ci sarà solo un territorio devastato per sempre. E qui nessuno è più sensibile. Non lo è la destra. Ma non lo è nemmeno la sinistra: neanche l’attuale opposizione colloca l’ambiente tra le sue priorità. Anzi, se ne disinteressa totalmente. Guardiamo cosa sta avvenendo in Toscana e presto in Umbria... Rimaniamo solo noi associazioni: Fai, Italia Nostra, Lipu, Wwf. Siamo visti da tutti come scomodi cretini. Poi, un giorno, forse qualcuno dirà che quegli scomodi cretini avevano ragione. Ma sarà troppo tardi. Un padre non svende la figlia per far cassa. Qui, lo ripeto, stanno svendendo la nostra Italia davanti all’indignazione del resto d’Europa».
di Paolo Conti
20 luglio 2009
da Corriere.it
Più sono agitatori e ribelli più pensano alla carriera
Questi possono creare un partito, ma non fanno carriera in altre istituzioni, non si insediano in cariche formali. Pensiamo a due leader del movimento studentesco del 1968: Mauro Rostagno e Mario Capanna. Uno è stato ucciso dalla mafia, l'altro è rimasto un intellettuale. I leader carismatici hanno una visione, credono nella possibilità di un mondo diverso. Anche quando sono adorati non si considerano superiori agli altri. Se li avvicini senti di aver incontrato un uomo che ti ascolta, che ti capisce.
Che hai davanti uno come te, solo con una fede più grande, una visione più ampia, un cuore più generoso. Gli agitatori di cui parliamo, anche se molto attivi, invece non hanno una visione, un sogno. Si lasciano trascinare da quello degli altri, gli danno voce, lo utilizzano per affermare se stessi. Attaccano il potere, denunciano l'autoritarismo, invocano la libertà e dure punizioni per i malvagi, ma nel profondo aspirano solo a rimpiazzare — convinti certo di fare meglio di loro—gli uomini che vogliono abbattere. In seguito, quando il movimento sarà finito e sulla sua spinta sorgeranno partiti, giornali e imprese, si identificheranno con queste nuove forze, si daranno da fare e faranno carriera al loro interno.
E se lo spirito dei tempi cambierà ancora sapranno identificarsi con esso un’altra volta. Agiscono cioè come un imprenditore che, volta per volta, interpreta i nuovi bisogni del consumatore e ha successo. Ma per distinguere questi due tipi umani non c'e bisogno di vedere cosa faranno nel resto della vita. Puoi distinguerli gia all'inizio. I puri agitatori, i puri demagoghi non hanno la ricchezza umana dei capi e non ne hanno l'umiltà. Anche se parlano della libertà e della giustizia in nome del popolo e degli oppressi, senti che loro si considerano diversi, superiori ai seguaci .
Fin dall'inizio sono «in carriera», si muovono per occupare posizioni sempre più elevate. Il vero capo carismatico invece è a un tempo superiore a tutti eppure uguale al più piccolo. Egli non fa carriera: è immediatamente il capo assoluto oppure non è nulla. Come Garibaldi, ora dittatore onnipotente, ora contadino a Caprera.
di Francesco Alberoni
20 luglio 2009
da corriere.it
19/07/09
Il nucleare triplica i costi
Dal Blog di Aldo Cianciulli su La Repubblica .it
24/01/09
05/01/09
".....si sega soltanto il ramo su cui si sta seduti"
di Giuseppe Ossorio
articolo apparso su "la Repubblica" sabato 13 dicembre 2008
L’ex Ministro Fioroni, in qualità di responsabile dell’organizzazione del Pd, viene a Napoli per discutere delle primarie, attraverso le quali si dovranno selezionare i dirigenti e gli eletti del Partito. Su invito della direzione provinciale, ho redatto, assieme alla Commissione, un regolamento attuativo per le primarie, documento che l’Assemblea provinciale dovrà vagliare ed approvare.
Non sono, dunque, sospettabile di essere contrario alle primarie, e nemmeno di sottovalutarle come, ancora in tanti, fanno nel mondo politico italiano. Rappresentano infatti uno strumento essenziale, perché è mutata la natura e la struttura dei partiti. Partiti leggeri, privi di reale strutturazione sul territorio, a differenza di quelli, grandi e piccoli, della cosiddetta prima repubblica, rischiano di diventare dei puri comitati elettorali utili soltanto ai gruppi dirigenti già consolidati. Non esistendo più le vecchie sezioni, i tanti congressi che si svolgevano con decine e decine, e a volte centinaia, di militanti, dalle grandi città ai comuni più piccoli, non si saprebbe come selezionare la classe dirigente se non attraverso il metodo della cooptazione.
Le primarie, dunque, sono, allo stato attuale, l’unico strumento reale che possa selezionare democraticamente, e sottolineo democraticamente, i vari organismi di partito e garantire una struttura flessibile ma realmente rappresentativa.
Ma il punto è: le primarie devono essere vere e non mascherate, come troppo spesso è già accaduto nelle varie tappe di formazione del Partito Democratico.
Se esse dovessero essere usate, qui in Campania, soltanto come uno strumento propagandistico sul piano esterno, ed una clava per abbattere gli attuali rappresentanti in favore di altri, meno rappresentativi e meno radicati, sarebbe un imbroglio e un’ingiustizia. E allora, l’unico sistema che io vedo perché le primarie possano essere concretamente funzionali all’innovazione e al rilancio del Pd è quello di fondarle su chiare e precise linee politiche in competizione. Bisogna smettere di usare le categorie demagogiche e vuote di vecchio e nuovo, di continuità e discontinuità. Bisogna invece mettere in campo un dibattito politico incentrato su due questioni fondamentali: il senso che si vuol dare al riformismo del Partito democratico con l’indicazione delle relative e conseguenti alleanze strategiche e il programma economico-sociale che ci si propone di sviluppare nei prossimi cinque anni di vita amministrativa della Provincia e, poi, della Regione e della città di Napoli.
Per ora, da quelli che mettono in discussione l’attuale stato delle cose non è ancora venuta una proposta concreta né sul primo né sul secondo versante. Se non si fa questo, si sega soltanto il ramo su cui si sta seduti e, inevitabilmente, si crolla tutti a terra.
E’ già successo, in parte, con il governo Prodi. Il nuovo Pd ha delegittimato il suo stesso governo ma non è riuscito a proporre una chiara e forte alternativa se non nell’affermare orgogliosamente di voler “andare da soli” in vista di una possibile vocazione maggioritaria del partito stesso. Troppo poco per convincere la maggioranza degli italiani.
Analogo errore stiamo commettendo nella nostra regione. Ciò che invece, a mio modo di vedere, il Partito democratico dovrebbe fare qui è elaborare e proporre, nei prossimi mesi, un programma nitido, semplice, di rilancio civile ed economico, e soprattutto in sintonia con le vere esigenze dei cittadini. Attorno a questo programma può costruire i gruppi dirigenti e le nuove alleanze lasciando che le attuali amministrazioni svolgano fino in fondo il ruolo che gli elettori hanno assegnato loro. Tutto il resto o è fredda ingegneria istituzionale, che non appassiona nessuno e non ha credibilità, oppure è una faida interna che si nasconde dietro paroloni e vuota retorica.