08/12/09

Congresso Pd: un nuovo imbroglio!

La storia si ripete, come nel 2008 il congresso del 5 dicembre 2009 si è caratterizzato da un'altro imbroglio.
I cosiddetti "capibastone senza seguito", dopo l'ennesimo pirotecnico nuovo e momentaneo "salto della quaglia" (Demiti-ani/Bassolini-ani/Veltroniani-ani/Vittori-ani/Deluchi-ani/Franceschini-ani, Deblasi-ani e .........), votano anche per altri iscritti fregandosene di regole, regolamenti, statuti e codice, conseguendo il 100% dei consensi, 39 voti su 39, in un'altro congresso "lampo" come nel 2008.



Da "il Mattino" del 6 dicembre:




03/12/09

Dieci punti su cui ragionare

Dieci punti suggeriti dal Segretario Regionale del PARTITO DEMOCRATICO Enzo Amendola su cui costruire una piattaforma programmatica di alleanza tra forze di centro e di sinistra per il governo della Campania.

  1. “Nessuno ai margini”: lotta alla povertà attraverso la formazione professionale e l´estensione del reddito di cittadinanza.
  2. “Donne innanzitutto”: mettere al centro la parità di genere, sia per l´accesso al lavoro che per i livelli salariali.
  3. “Sicurezza sociale”: liberalizzare il mercato del lavoro, riformare i centri per l´impiego, finanziando gli individui non gli enti attraverso un voucher formativo.
  4. “Sanità per tutti”: riforma complessiva del sistema sanitario, qualificazione delle strutture e fondazione di una rete di strutture primarie.
  5. “Rivoluzione verde”. L´emergenza rifiuti, dice Amendola, «è stata una pagina dolorosa che ancora pesa nel ricordo di tutti e segna uno spartiacque nella storia recente della regione». Il ritorno all´ordinario dev´essere gestito con la massima attenzione sul ciclo integrato dei rifiuti, «dalla differenziata agli impianti finali».
  6. "Industria 2010″: difesa del sistema produttivo campano, «fatto anche di eccellenze».Sostenere «l´innovazione nei settori tradizionali e le nuove filiere produttive».
  7. “Campani italiani europei”: cogliere le opportunità e «vivere il processo d´integrazione non in maniera burocratica».
  8. “Nuove rotte”: nel Mediterraneo, dice Amendola, «non vogliamo essere soltanto una piattaforma logistica. Occorre una svolta decisa su agricoltura, energia, ricerca, trasferimento tecnologico, telecomunicazioni».
  9. “Controesodo”, come «il vero scudo fiscale, quello del Pdl più che uno scudo è una corazza». L´idea è di «riportare a casa i capitali umani, i giovani talenti costretti a emigrare». Gli strumenti? Credito d´imposta, borse di studio, procedure semplificati per i visti.
  10. “Federalismo”.

01/12/09

Disoccupati ad honorem........

Da La Repubblica .it
di CINZIA SASSO
IL PAESE dove i padri stanno meglio dei figli, dove il passaporto come una laurea prestigiosa apriva tutte le porte, dove il merito contava qualcosa, dove invece oggi bisogna pensare ad andarsene per avere un futuro, si vede bene da qui, dal salotto di questa bella casa borghese. Milano, zona di porta Romana, Siracusano è il cognome stampato sulla targhetta. Basta suonare il campanello, farsi raccontare, ed ecco la storia. Bruno, il padre, si è laureato alla Bocconi con 110 e lode nel '74 e nel giro di qualche settimana ha ricevuto quaranta offerte di lavoro. Alice, sua figlia, dalla Bocconi è uscita - benissimo - nel 2007: ma per cominciare ha trovato solo uno stage e poi, grazie alla presentazione di un'insegnante, è riuscita ad avere, uno dopo l'altro, per ora, due contratti a progetto. Gianluca è iscritto al terzo anno e se tutto va come sta andando, cioè alla grande, otterrà la laurea nel 2011; nel suo futuro, però, non c'è posto fisso, non c'è nemmeno un contratto a tempo parziale, c'è soltanto la nebbia. Oppure la fuga all'estero. Così come del resto fa un laureato su cinque, proprio della Bocconi. Ieri, in un'aula dell'università di Bologna, durante la sua lezione di statistica sociale, il professor Andrea Cammelli ha letto ad alta voce la lettera che Pier Luigi Celli, attraverso Repubblica, ha inviato al figlio, Mattia. "Riga dopo riga - racconta Cammelli, che è anche il fondatore di Alma Laurea, il consorzio di 55 atenei italiani che da quindici anni lavora per sposare domanda e offerta - mi ha fatto crescere l'angoscia. Concludere che è necessario andarsene per poter avere un futuro, è terribile: ai miei studenti parlo di investimenti nel capitale umano, dell'importanza di questo per il sistema Paese, e quelle parole mi hanno fatto venire il groppo in gola. In Italia 74 laureati su 100 sono i primi della loro famiglia a raggiungere quel traguardo, e dover dire che lo sforzo fatto da loro e dai loro genitori non serve a niente è terribile".

La crisi sta picchiando più duro soprattutto sui giovani. E tra i giovani si accanisce di più su quelli bravi. Soprattutto in un Paese immobile come l'Italia, dove i giovani sono destinati a restare una generazione senza voce. Perché, se le aziende si strappano i capelli denunciando che non riescono a trovare tornitori e meccanici e, come dice Unioncamere, l'offerta di lavoro per gli infermieri è del 50% inferiore alla domanda, quella che è crollata è la richiesta di figure di un certo spessore. Insomma, chi più ha investito sulla propria preparazione, chi ha cercato di essere competitivo raggiungendo i risultati migliori, non trova più nella buca delle lettere, come accadeva al dottor Siracusano padre, decine e decine di offerte di lavoro. Key2People, società di executive search, ha studiato il mercato del lavoro dell'ultimo anno e ha fatto scoperte sconvolgenti, presentate in un recente seminario alla Luiss: messi a confronto i primi tre mesi del 2008 con il gennaio, febbraio e marzo del 2009, ha evidenziato un calo nella richiesta di giovani laureati pari al 46 per cento. Il settore che ha fatto registrare il crollo più significativo - 52 per cento - è quello della logistica: 11.100 domande un anno fa contro le 5.400 di quest'anno; meno 35 per cento per il settore produttivo; meno 36 per l'information technology; meno 33 nelle risorse umane; meno 45 per marketing e comunicazione; meno 25 per amministrazione e finanza. Tengono i ruoli delle vendite, con un segno negativo che è "solo" del 9 per cento; e registra un segno positivo - più 6 - soltanto il settore legale, con una modesta offerta per fiscalisti, avvocati di diritto societario, giuslavoristi. "Le nostre ultime rilevazioni - dice Cristina Calabrese, partner di Key2People - mostrano che il mercato degli annunci, cioè la ricerca di personale qualificato, ha subito un crollo, con alcune aree che hanno chiuso completamente i battenti". Colpa della congiuntura, non c'è dubbio. "Per un'azienda - aggiunge Calabrese - assumere un neolaureato vuol dire avere risorse a disposizione per investire su di lui; e nei periodi più critici c'è molta offerta, anche qualificata, a un prezzo inferiore, dunque assumere giovani non è competitivo". Gli economisti Paul Beaudry e John Dinardo avevano già formulato questa sorta di legge economica: chi esce dall'università in un momento di crisi entrerà nel mercato del lavoro a condizioni peggiori e ne pagherà il prezzo per tutta la carriera. Andrea Ichino, che insegna Economia dell'istruzione a Bologna e ha appena mandato in libreria "L'Italia fatta in casa", dice: "In un momento di crisi di queste dimensioni è ragionevole aspettarsi che le aziende non cerchino: ma succede anche ad Harvard, a Standford. Quello che bisognerà vedere, piuttosto, è se l'anno prossimo la tendenza si invertirà". Ichino è ottimista: "La crisi sta già passando; quello che stiamo registrando adesso non sarà per l'eternità". Anche Guido Tabellini, rettore della Bocconi, distingue il trend dal momento congiunturale e un evento recente gli dà ragione: al Bocconi & Jobs del 7 novembre, l'incontro tra i laureati e il mondo del lavoro, si sono presentate 87 imprese, il 40% in più rispetto al 2008. "Le aziende - assicura il rettore - continuano a essere molto interessate ai nostri studenti, e il 60% trova un'occupazione ancora prima di uscire dall'università. Certo, qualcosa è cambiato: uno su cinque dei nostri ragazzi, adesso, il lavoro lo trova all'estero". Se sia una fuga obbligata o una scelta, è difficile dire. Elisabetta Tarizzo, ad esempio, pensando al futuro ha cominciato a trasferirsi a Londra già per studiare: vorrebbe occuparsi di beni culturali, ma ha presente che nel Paese più ricco di arte del mondo non c'è posto per gli specialisti del settore e allora spera che un corso di studi al Courtauld Institute of Art sia un lasciapassare migliore. Il fatto è che in Italia c'è un "tappo". Roger Abravanel, l'autore di un libro-cult "Meritocrazia", lo spiega così: "Qui da noi il blocco è nella leadership, sia in politica che nelle imprese. La nostra è una società immobile, che non riconosce il merito: si premia la struttura padronale, familiare, che basta a se stessa e che non si mette in competizione. E i giovani bravi o si affidano alle raccomandazioni o se ne vanno". L'analisi di Abravanel, che è già stato chiamato a fare 300 conferenze in giro per l'Italia (segno di una diffusa sensibilità all'argomento), è impietosa: "La meritocrazia in Italia non esiste, la selezione avviene solo sulla base del nome che porti o della famiglia a cui appartieni, mentre all'estero, ad esempio nei Paesi emergenti come la Cina, la scuola ha come obiettivo quello di azzerare i privilegi di nascita. Noi siamo vecchi, conservatori. E, se non vuoi crescere, non ti servono i giovani e nemmeno i talenti". Che il problema non sia solo dei giovani, ma del Paese, è anche opinione del rettore Tabellini. "Viviamo in un mondo globale, e non è negativo che i nostri ragazzi trovino lavoro all'estero - osserva - è preoccupante, però, che non ci siano stranieri che vengono a trovare lavoro nel nostro Paese". Cammelli aggiunge un dato: "L'anno scorso abbiamo ceduto alle aziende, italiane e straniere, 450mila curricula di laureati. Quest'anno abbiamo avuto il 27% in meno di richieste, anche per lauree come ingegneria e informatica. Se le aziende fanno fatica, rischiano di dover ridurre per primi gli investimenti sul capitale umano e questo vuol dire ipotecare il futuro: una volta usciti dalla crisi, ci ritroveremo all'ultimo posto". L'Italia all'ultimo posto e i nostri ragazzi in giro per il mondo a far vedere quanto sono bravi.
(1 dicembre 2009)

04/11/09

Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti

C’era un paese che si reggeva sull’illecito.
Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere.
Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (ne aveva bisogno perchè quando ci si abitua a disporre di molti soldi non si è più capaci di concepire la vita in altro modo) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente, cioè chiedendoli a chi li aveva in cambio di favori illeciti.
Ossia, chi poteva dar soldi in cambio di favori, in genere già aveva fatto questi soldi mediante favori ottenuti in precedenza; per cui ne risultava un sistema economico in qualche modo circolare e non privo di una sua autonomia.
Nel finanziarsi per via illecita, ogni centro di potere non era sfiorato da alcun senso di colpa, perchè per la propria morale interna, ciò che era fatto nell’interesse del gruppo era lecito, anzi benemerito, in quanto ogni gruppo identificava il proprio potere col bene comune; l’illegalità formale, quindi, non escludeva una superiore legalità sostanziale.
Vero è che in ogni transazione illecita a favore di entità collettive è usanza che una quota parte resti in mano di singoli individui, come equa ricompensa delle indispensabili prestazioni di procacciamento e mediazione: quindi l’illecito che, per la morale interna del gruppo era lecito, portava con sé una frangia di illecito anche per quella morale.
Ma a guardar bene, il privato che si trovava ad intascare la sua tangente individuale sulla tangente collettiva, era sicuro di aver fatto agire il proprio tornaconto individuale in favore del tornaconto collettivo, cioè poteva, senza ipocrisia, convincersi che la sua condotta era non solo lecita ma benemerita.
Il paese aveva nello stesso tempo anche un dispendioso bilancio ufficiale, alimentato dalle imposte su ogni attività lecita e finanziava lecitamente tutti coloro che lecitamente o illecitamente riuscivano a farsi finanziare.
Poiché in quel paese nessuno era disposto non diciamo a fare bancarotta, ma neppure a rimetterci di suo (e non si vede in nome di che cosa si sarebbe potuto pretendere che qualcuno ci rimettesse), la finanza pubblica serviva ad integrare lecitamente in nome del bene comune i disavanzi delle attività che sempre in nome del bene comune si erano distinte per via illecita.
La riscossione delle tasse, che in altre epoche e civiltà poteva ambire di far leva sul dovere civico, qui ritornava alla sua schietta sostanza di atto di forza (così come in certe località all’esazione da parte dello Stato si aggiungeva quella di organizzazioni gangsteristiche o mafiose), atto di forza cui il contribuente sottostava per evitare guai maggiori, pur provando anziché il sollievo del dovere compiuto, la sensazione sgradevole di una complicità passiva con la cattiva amministrazione della cosa pubblica e con il privilegio delle attività illecite, normalmente esentate da ogni imposta.
Di tanto in tanto, quando meno ce lo si aspettava, un tribunale decideva di applicare le leggi, provocando piccoli terremoti in qualche centro di potere e anche arresti di persone che avevano avuto fino ad allora le loro ragioni per considerarsi impunibili.
In quei casi il sentimento dominante, anziché di soddisfazione per la rivincita della giustizia, era il sospetto che si trattasse di un regolamento di conti di un centro di potere contro un altro centro di potere.
Così che era difficile stabilire se le leggi fossero usabili ormai soltanto come armi tattiche e strategiche nelle guerre tra interessi illeciti oppure se i tribunali per legittimare i loro compiti istituzionali dovessero accreditare l’idea che anche loro erano dei centri di potere e di interessi illeciti come tutti gli altri.
Naturalmente, una tale situazione era propizia anche per le associazioni a delinquere di tipo tradizionale, che coi sequestri di persona e gli svaligiamenti di banche si inserivano come un elemento di imprevedibilità nella giostra dei miliardi, facendone deviare il flusso verso percorsi sotterranei, da cui prima o poi certo riemergevano in mille forme inaspettate di finanza lecita o illecita.
In opposizione al sistema guadagnavano terreno le organizzazioni del terrore che usavano quegli stessi metodi di finanziamento della tradizione fuorilegge e con un ben dosato stillicidio d’ammazzamenti distribuiti tra tutte le categorie di cittadini illustri e oscuri si proponevano come l’unica alternativa globale del sistema.
Ma il loro effetto sul sistema era quello di rafforzarlo fino a diventarne il puntello indispensabile e ne confermavano la convinzione di essere il migliore sistema possibile e di non dover cambiare in nulla.
Così tutte le forme di illecito, da quelle più sornione a quelle più feroci, si saldavano in un sistema che aveva una sua stabilità e compattezza e coerenza e nel quale moltissime persone potevano trovare il loro vantaggio pratico senza perdere il vantaggio morale di sentirsi con la coscienza a posto.
Avrebbero potuto, dunque, dirsi unanimemente felici gli abitanti di quel paese se non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti.
Erano, costoro, onesti, non per qualche speciale ragione (non potevano richiamarsi a grandi principi, né patriottici, né sociali, né religiosi, che non avevano più corso); erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso, insomma non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno al lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione di altra persone.In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto, gli onesti erano i soli a farsi sempre gli scrupoli, a chiedersi ogni momento che cosa avrebbero dovuto fare.
Sapevano che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che riscuotono troppo facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in mala fede.
Il potere non lo trovavano abbastanza interessante per sognarlo per sè (o almeno quel potere che interessava agli altri), non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute più nascoste; in una società migliore non speravano perchè sapevano che il peggio è sempre più probabile.
Dovevano rassegnarsi all’estinzione? No, la loro consolazione era pensare che, così come in margine a tutte le società durate millenni s’era perpetuata una controsocietà di malandrini, tagliaborse, ladruncoli e gabbamondo, una controsocietà che non aveva mai avuto nessuna pretesa di diventare “la” società, ma solo di sopravvivere nelle pieghe della società dominante ed affermare il proprio modo di esistere a dispetto dei principi consacrati, e per questo aveva dato di sé (almeno se vista non troppo da vicino) un’immagine libera, allegra e vitale, così la controsocietà degli onesti forse sarebbe riuscita a persistere ancora per secoli, in margine al costume corrente, senza altra pretesa che di vivere la propria diversità, di sentirsi dissimile da tutto il resto, e a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa di essenziale per tutti, per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato ancora detto e ancora non sappiamo cos’è.
La Repubblica - 15 marzo 1980 - Italo Calvino

28/10/09

Comunicato Primarie del 25 ottobre a Paternopoli

Sono di seguito elencati i risultati elettorali distinti per singolo candidato alle Primarie del 25 ottobre a Paternopoli. I risultati riproducono fedelmente quelli approvati all’unanimità dai componenti il seggio elettorale e trasmessi alla Commissione Provinciale del PD.
Svolgendo il compito di Presidente di Seggio ho avuto il piacere di constatare che hanno partecipato al voto anche candidati, dell’ultima tornata elettorale, al Consiglio Provinciale, in altri partiti del Centrosinistra.
Sono sicuro che essi sapranno e vorranno contribuire al meglio alla costruzione del profilo politico del PD.
Il Presidente del Seggio elettorale dott. Federico Troisi

Risultati delle Primarie

25/10/09

COMUNICATO STAMPA - Coordinamentyo Provinciale Avellino

Ancora una volta, e spero sia l’ultima, ci tirano per i capelli in una polemica volgare. Ancora una volta siamo costretti a non lasciare sotto silenzio una squallida provocazione pur sapendo che, pur vittime, rischiamo di abbassarci al livello di chi se ne rende responsabile.
Il cocomeraio di Paternopoli, che solo il degrado della politica può far passare per un dirigente, non tollerando di poter essere controllato nella gestione delle primarie, ha vomitato veleno ed ingiurie intollerabili verso il dr. Federico Troisi, che è stato indicato dalla Commissione Provinciale quale presidente del seggio in quel paese.
Federico Troisi non abbisogna della mia difesa: il suo percorso coerente in politica e la dirittura professionale e personale ne hanno fatto da tempo un riferimento essenziale per quanti hanno avuto il piacere di conoscerlo e lavorarci assieme. La denigrazione rivolta ad un galantuomo serve essenzialmente a fargli gettare la spugna, a convincerlo che, se quello è il livello della politica, non valga la pena impegnarvi passione e tempo. Poiché questo è quanto si propone questa schiuma sporca che la politica lascia ai suoi bordi nelle fasi difficili, sono sicuro che Federico terrà duro, per quanto gli costi questa condizione.
Sorprende il silenzio di chi per la funzione di garanzia che è chiamato ad occupare dovrebbe assumere come primo compito la difesa delle regole e dell’onorabilità dei militanti del PD irpino. Ma sorprende anche lo spazio che a certe sparate vengono date dalla stampa. Eppure il folclore di tali personaggi, la loro assoluta ininfluenza, il discredito nel loro paese, erano stati già abbondantemente certificati dalle prove elettorali recenti nelle quali, sulla loro faccia, alle provinciali, si erano riconosciuti appena 121 elettori dei pur pochi 350 che avevano votato il PD alle europee…
Questo è purtroppo il punto a cui siamo…


Lucio Fierro

Le Primarie del PD: fra folclore e fascismo di ritorno

Scrivo in riferimento alle dichiarazioni di Forgione Andrea comparsa sui giornali locali, riguardante il voto delle Primarie del Partito Democratico del 25 Ottobre.
In particolare, in rifermento alla non accettazione della mia designazione a Presidente del seggio elettorale a Paternopoli, poiché, è scritto, "noto demitiano che ha fatto voti per l'UDC alle ultime elezioni", facendo balenare l'ipotesi che la mia designazione avrebbe potuto comportare una riduzione del numero dei partecipanti al voto a livello locale.
Sono stato molto combattuto sul tenore da dare a questa mia nota da inviare ai giornali. In verità sono stato anche molto combattuto se inviarla o meno. Se costringermi ad una valutazione minimalista, considerando lo scritto del Forgione come puro folclore, o considerarlo come meritevole di essere sottoposto all'attenzione di un buon avvocato.
Nel dubbio, non ancora risolto, spero che vengano pubblicate integralmente queste mie poche riflessioni.
Perchè il Tizio alza talmente il tiro, fa un'accusa così gratuita e falsa rischiando persino la denuncia?
Il motivo principale è uno solo: contrariamente che in altre circostanze, non sarà possibile inventarsi a piacere il numero dei votanti e gestire il voto senza rispetto delle regole, come se Paternopoli fosse in territorio afgano. In altre circostanze ci si sarebbe potuto vantare di 200, oppure perchè no, di 400 votanti ed ancor più. Con Troisi Presidente non sarà possibile.
Nello stesso tempo, egli tenta di reiterare nei miei confronti l'operazione di killeraggio politico che prova sempre a mettere in atto nei confronti di teme, con il quale non è in condizione di confrontasi. Con l'obiettivo di costringerlo a farsi da parte, ad autoescludersi pur di non aver a che fare con lui e con i suoi metodi. Propri del fascismo di ritorno di chi prova ad utilizzare la denigrazione attraverso i mezzi di comunicazione come una volta il manganello e l'olio di ricino.
Altro che politica inclusiva e partecipazione. Altro che rispetto delle persone e delle opinioni. Nulla è più lontano dal PD rispetto all'interpetrazione di linea politica che di esso si dà a Paternopoli.
Se arriverà il momento che la dirigenza provinciale ne prenderà coscienza, sarà comunque tardi, visto che in ballo vi è anche una candidatura a Segretario Provinciale del Partito.
Qui, oltre tutto, tocca vedere i più accesi bassoliniani trasformati nei più feroci antibassoliniani. Tocca vedere fondatori della sezione locale di quello che era il Partito di De Mita ed osannanti demitiani ( molti ricordano ancora il manifesto "Ben tornato Presidente") trasformati in antidemitiani doc, nonché in accusatori nei confronti di altri di essere stati quello che essi sono stati.
Per quel che mi riguarda, io scelsi da giovanissimo i valori della Sinistra. Essenzialmente perché essa si poneva dalla parte dei deboli anziché dei forti, degli emarginati e dei poveri anziché dei ricchi. Ho militato nel PCI seguendone le evoluzioni in PDS, DS e poi PD. Seguendone sempre le scelte al momento del voto. Sia in campo nazionale che locale.
Diceva Seneca : sono malaticcio e zoppicante. Ma rispetto ai miei detrattori sono un campione della corsa, un vero corridore.
Anch'io, come Seneca, so di non essere privo di limiti. Come lui posso essere considerato malaticcio e zoppicante. Ma, politicamente, rispetto a chi vorrebbe ergersi a censore e detrattore nei miei confronti, sono Usaim Bolt, il campione del mondo dei 100 metri.
Federico Troisi - P.D. Paternopoli

05/10/09

Autarchia energetica

DOBBIACO - In vista della conferenza sui cambiamenti climatici di Copenhagen, le regioni alpine giocano la carta dell'autarchia energetica. Ad assumere a tutti gli effetti la leadership è l'Alto Adige che ha annunciato oggi ai Colloqui di Dobbiaco, storico evento di dialogo culturale e scientifico sull'ecologia che ha preso il via nella località altoatesina, che la Provincia intende eliminare l'utilizzo di fonti fossili entro il 2020. "Attualmente abbiamo già un bilancio intermedio che evidenzia che il 56% del fabbisogno energetico è raggiunto utilizzando fonti rinnovabili - spiega l'assessore all'ambiente e energia della Provincia autonoma, Michl Laimer - il nostro piano è quello di raggiungere il 75% nel 2013 e il 100% entro il 2020. Per fare un raffronto nel 2005 la quota delle rinnovabili in Svezia era al 39,8%, in Finlandia al 28,5%, in Austria al 23,3%, in Germania al 5 e in Italia al 5,2%". Il consumo energetico in Provincia di Bolzano è costituito per il 29% da elettricità, integralmente coperta dalla produzione idroelettrica (930 centrali in tutto, 784 da 220 KW, 116 da 220-3000 KW e 30 oltre 2000 KW per una produzione netta superiore del 50% alle esigenze locali) e per il 71% da domanda termica coperta ad oggi per il 27% con le rinnovabili e il 44% dalle fonti fossili che l'Alto Adige sostituirà integralmente entro il 2013. "Non si tratta di un obiettivo ambizioso ma assolutamente realistico - ha continuato l'assessore Laimer davanti alla platea dei Colloqui di Dobbiaco - che la Provincia intende perseguire con l'utilizzo delle biomasse (legname da coltivazioni forestali), l'eolico, il solare e l'idrogeno. Oggi in Alto Adige sono in funzione 63 centrali a biomasse che producono annualmente 350 MWh che serve 10600 utenze allacciate con un taglio di emissioni pari a 48 milioni di tonnellate pari a 139000 tonnellate di CO2: il 15% arriva da legname delle foreste locali e il resto dagli scarti delle segherie ma intendiamo incrementare fortemente la quota derivante dalla coltivazione forestale e per questo l'Associazione per le biomasse sta mettendo a punto un piano per risanare parte del patrimonio boschivo favorendo il taglio delle piante più vecchie e l'avvio di nuova forestazione. Gli altri asset sui quali puntiamo sono il biogas e il fotovoltaico termico". Oggi in Alto Adige sono in funzione 31 impianti che trattano deiezioni animali e rifiuti organici, producono elettricità per 13 milioni di KWh e garantiscono minori emissioni per 9300 tonnellate CO2 risparmiate e 930 di metano. Sul fronte del solare grazie al conto energia negli ultimi due anni si è arrivati a 1068 impianti di pannelli per la produzione di energia elettrica, pari ad un installato di 29000 KW installato, e 17700 installazioni di solare termico: oggi il 50% di tutti i collettori solari in Italia è in Alto Adige per 195000 mq, pari a 40 mq ogni cento abitanti. La Provincia sta siglando un accordo con la Lega dei coltivatori per installare tetti fotovoltaici su tutti i masi dell'Alto Adige. La logica che ispira l'azione in tutto il territorio provinciale è quello che i cittadini producono la loro energia, si abituano anche ad amministrarla e distribuirla. Il caso più emblematico è quello di Dobbiaco dove la centrale a biomasse è di proprietà di una cooperativa costituita dalle 700 famiglie e imprese del comune: tutti sono collegati alla centrale che produce 600000 euro di utili l'anno e l'obiettivo della cooperativa è di acquistare la centrale idroelettrica oggi nelle mani di privati. Nella Provincia operano anche 291 piccoli impianti geotermici e 7 siti che hanno passato la valutazione ambientale strategica dove saranno installate 5000 sonde in grado di intercettare il calore del suolo.
Nel migliore dei mondi ambientalmente possibili del nostro Belpaese non manca un piano specifico per l'idrogeno: è stata posata la prima pietra per l'impianto che a Bolzano produrrà il nuovo combustibile utilizzando energia elettrica idroelettrica mentre a Rovereto sarà utilizzato il fotovoltaico e sul valico l'eolico grazie ad un progetto con Tirolo austriaco e Baviera che prevede che distributori di idrogeno in tutte le aree di servizio del tratto dell'autostrada del Brennero da Verona a Monaco.
di ANDREA DI STEFANO
da Repubblica.it

28/09/09

Lo scudo e l'utilizzatore finale di MASSIMO GIANNINI

Era prevedibile. Il "turbo Fleres" ha messo le ali allo scudo fiscale. È bastato l'emendamento dell'apposito "peone" di turno (ora tocca all'eroico Salvo Fleres, come due legislature fa toccò agli ineffabili Carrara e Cirielli, Cirami e Pittelli, Anedda e Nitto Palma) e l'ennesima "legge vergogna" è già un successo. L'estensione dei benefici del rientro dei capitali dall'estero al falso in bilancio e ad altri reati di natura tributaria ha fatto letteralmente esplodere, in pochissimi giorni, le richieste di consulenza a banche e società fiduciarie. Tutti si affrettano alla grande abbuffata. A questo punto, gli obiettivi fissati dal Tesoro diventano possibili. Un flusso di ritorno pari a 100 miliardi di euro. Un gettito per l'erario pari a circa 5 miliardi di euro. Un bel gruzzolo per gli intermediari finanziari, in termini di spese e di commissioni. Un "tesoretto" insperato per imprenditori e professionisti, riciclatori ed evasori. Alla faccia degli italiani onesti, si consuma un altro colpo di spugna. "Amnistia mascherata", l'hanno definita alcuni magistrati. Si sbagliano. Qui di mascherato non c'è proprio niente. In un Paese già poco incline al rispetto dell'etica pubblica e della morale privata, il centrodestra diffonde scientificamente la cultura dell'impunità. E se ne rende conto, tanto è vero che mentre apre le braccia a migliaia di esportatori di capitali, fa la faccia feroce con un manipolo di "vip" che non hanno saldato fino in fondo i loro conti col Fisco. Pura propaganda. Quello che conta è il segnale politico: con lo Stato, in Italia, puoi sempre scendere a patti. Anche se non hai mai fatto il tuo dovere. Paghi l'obolo, e amici come prima. Non subirai più accertamenti. E così via, fino al prossimo condono tombale. Ma ora la domanda è un'altra. Chi beneficerà dello scudo? Berlusconi e la sua famiglia accederanno alla preziosa e generosa "copertura"? Sarebbe un altro, formidabile caso di conflitto di interessi. Come accadde già ai tempi del precedente condono varato dall'allora Cdl nella legislatura 2001-2006: il Cavaliere, alla conferenza stampa di fine anno 2002, giurò che Mediaset non avrebbe mai usato la sanatoria appena varata. Poi si scoprì l'esatto contrario: l'azienda beneficiò del condono sia nel 2003 che nel 2004. E se anche oggi si scoprisse che il premier (oltre che di qualche ben nota prestazione sessuale) è anche "utilizzatore finale" dello scudo fiscale? Purtroppo non lo scopriremo mai. Il "turbo Fleres", ovviamente, garantisce l'anonimato. (28 settembre 2009)
Da Repubblica.it
In Italia si è perso qualsiasi principio di legalità
è diventato il Paese Delle Libertà
ognuno fà cio che gli và,
anche se poi agli italiani tocca pagà.

04/09/09

La campagna congressuale del P.D. e le scelte da operare

La necessità di far nascere un partito nuovo, il P.D., a me pare fosse essenzialmente dovuta a due ragioni: l’impossibilità, per i Partiti che gli hanno dato origine, di fornire risposte ai temi emergenti dalla società facendo ricorso all’ideologia e la necessità di allargare gli spazi partecipativi, creando così un luogo politico comune per i riformisti e le premesse per un bipolarismo che favorisse la governabilità.
A Veltroni (e Franceschini) va riconosciuto il merito di aver tracciato un solco, una traccia, un riferimento su cui è ora possibile confrontarsi, produrre proposte, operare scelte ed aggiustare il tiro valutandone i risultati rispetto agli obiettivi.
A livello generale non si può certo dire che ci troviamo di fronte ad un bilancio brillante.
Nel P.D. che io ho vissuto più da vicino, in aggiunta, l’ha fatta da padrone la comunicazione, il luccichio e l’apparenza. Mai la parola “partecipazione” è stata tanto abusata e vuota di significato come in questa fase. In quante parti è accaduto che nei congressi di circolo siano stati coinvolti gli elettori delle Primarie ed i simpatizzanti? Non vi sono forse stati congressi celebrati solo sulla carta che hanno comunque avuto riconosciuti i crismi dell’ufficialità? In quante circostanze vi sono state scelte politiche condivise ed iniziative concepite per coinvolgere ed includere? Quando, in che circostanza è stata messa in atto un’azione politica inclusiva, finalizzata alla valorizzazione dell’apporto di chiunque? Nella mia esperienza giammai o giù di lì, sebbene iniziative ne siano state prodotte a iosa. Semmai ha trovato spazio l’Antipolitica. E’ toccato persino assistere alla chiamata dei carabinieri allo scopo di tenere lontano chi chiedeva solo di essere coinvolto.
Perché tutto questo è stato possibile? Perché, secondo me, vi è stata una assenza di Politica e di Partito organizzato, capace di discutere al suo interno, nonchè dotato di regole condivise e da rispettare.
Di che cosa ha bisogno, quindi il P.D., ora, per rivitalizzarsi e crescere secondo le aspettative mie e di tanti come me che stentano a trovarsi a proprio agio in questo partito nuovo? Che cosa è “nuovo” ora, in questa fase se non voltare pagina rispetto a questa situazione?
Tutte le posizioni in campo in vista della fase congressuale sono rispettabili perché tutte ricomprendono nella loro proposta i valori fondamentali che contraddistinguono storicamente la Sinistra (eguaglianza, solidarietà con i deboli, non violenza, difesa dell’ambiente). Non mi sfugge che la proposta di Franceschini non è la semplice prosecuzione del presente. Né che è di grande spessore e rilevanza la proposta di Marino, sebbene troppo sbilanciata sul tema della laicità. Tuttavia, la risposta all’attuale condizione che a me pare più giusta e che condivido è quella proposta da Bersani ( ed Amendola a livello regionale) poiché punta con più chiarezza delle altre a fare del P.D. un Partito di Sinistra, con forti connotati laici ed articolata forma organizzativa. La sua proposta evoca l’Ulivo, cioè una vasta alleanza di forze unite da un programma, superando l’idea del Partito autosufficiente. Mira, infine, ad un’alleanza con il centro cattolico e moderato, l’U.D.C., prendendo atto che da solo il PD è destinato alla sconfitta, non solo in campo nazionale.
Trovo ingeneroso chi liquida la proposta di Bersani come un ritorno al passato. Trovo ingeneroso ed autolesionista il “fuoco amico” sparato contro Bassolino e la sua esperienza amministrativa, quasi a voler ignorare che senza di lui o il suo apporto, dietro l’angolo, per il P.D. non ci sono rose e fiori. Figurarsi contro di lui.

Federico Troisi – P.D. Paternopoli

01/09/09

IDEE PER IL PD E PER L’ITALIA

Il Partito Democratico è la più grande intuizione degli ultimi venti anni. Noi crediamo nel progetto cresciuto sulle radici dell'Ulivo. Desideriamo alimentarlo con le passioni e le intelligenze di donne e uomini pronti a rinnovare la politica italiana.
Ciò che abbiamo realizzato nei primi venti mesi è al di sotto del progetto che intendevamo perseguire.
Ciò che il Pd aveva di meglio da dire agli italiani non lo ha ancora detto.
Il non ancora del Pd indica ciò che possiamo diventare: il grande partito riformista che milioni di italiani non hanno avuto, la forza capace di unire Sud e Nord e di portare l’Italia nel XXI secolo, l'energia civile per arricchire la nostra democrazia, il fermento di una nuova cittadinanza italiana ed europea. Davanti a noi sono anche stringenti compiti politici: il Pd è nato per rendere possibile il cambiamento nell’Italia di oggi, per rendere convincente la proposta di governo.
Vogliamo rivolgerci ai nostri aderenti e agli elettori, a coloro che abbiamo smarrito per strada e a coloro che sono impegnati ad attuare il progetto. Vogliamo che il PD sappia convincere e vincere.
Tutto ciò è nelle nostre possibilità, è a carico della nostra responsabilità ed è l’obiettivo di questa mozione.
Come realizzarlo è sintetizzato nelle seguenti proposte politiche, culturali e organizzative che chiediamo a tutti gli iscritti di sostenere e di proporre agli elettori.
Siamo tutti fondatori. Nessuno può dire io sono il Pd e gli altri non ne sono parte. Ecco l'essenza del Pd: amalgamare e unire persone diverse, incrociare percorsi che vengono da lontano con la freschezza di chi si è appena messo in cammino, intendersi parlando anche lingue differenti.
E per prima cosa dobbiamo porci una domanda: perché il Pd ha deluso le aspettative che aveva suscitato, perdendo voti, invece di allargare i consensi in tutte le direzioni?
E’ successo perché la vocazione maggioritaria si è ridotta alla scorciatoia del nuovismo politico, mentre avrebbe richiesto un paziente lavoro di radicamento rivolgendosi con concretezza ai ceti popolari, alle categorie produttive e ai veri innovatori.
E’ successo perché invece di fondare un partito mai visto nella storia italiana, si è preferita spesso la suggestione mediatica alla definizione di una riconoscibile identità politica.
E’ successo soprattutto perché, dopo aver invocato la partecipazione popolare alle Primarie ed aver ottenuto la risposta formidabile di quasi quattro milioni di cittadini, non si è riusciti a costruire una organizzazione plurale e aperta in grado di coinvolgerli .
Non si dica che i nostri problemi sono venuti dal presunto tradimento di un’ispirazione originaria.
Sono venuti dal non aver collocato il progetto su basi solide. Questo è il nodo che il Congresso deve sciogliere. Un Congresso, quindi, fondativo del nostro partito.

Pierluigi Bersani

07/08/09

Lettera aperta al ministro Gelmini

Riporto una divertente lettera di Claudio Magris pubblicata dal Corriere della Sera di "incitamento" al ns. caro sano campanilismo.

"Ministro, cambiamo i programmi: «El moroso de la Nona» al posto della Divina Commedia

Signor ministro, mi permetto di scriverLe per suggerirLe l'opportunità di ispirare pure la politica del Ministero da Lei diretto, ovvero l'Istruzione — a ogni livello, dalla scuola elementare all'università — e la cultura del nostro Paese, ai criteri che ispirano la proposta della Lega di rivedere l'art. 12 della Costituzione, ridimensionando il Tricolore quale simbolo dell'unità del Paese, affiancandogli bandiere e inni regionali. Programma peraltro moderato, visto che già l'unità regionale assomiglia troppo a quella dell'Italia che si vuole disgregare.

Ci sono le province, i comuni, le città, con i loro gonfaloni e le loro incontaminate identità; ci sono anche i rioni, con le loro osterie e le loro canzonacce, scurrili ma espressione di un’identità ancor più compatta e pura. Penso ad esempio che a Trieste l'Inno di Mameli dovrebbe venir sostituito, anche e soprattutto in occasione di visite ufficiali (ad esempio del presidente del Consiglio o del ministro per la Semplificazione) dall’Inno «No go le ciave del portòn», triestino doc.

Ma bandiere e inni sono soltanto simbo­li, sia pur importanti, validi solo se esprimo­no un'autentica realtà culturale del Paese. È dunque opportuno che il Ministero da Lei diretto si adoperi per promuovere un'istru­zione e una cultura capaci di creare una ve­ra, compatta, pura, identità locale.

La letteratura dovrebbe ad esempio esse­re insegnata soltanto su base regionale: nel Veneto, Dante, Leopardi, Manzoni, Svevo, Verga devono essere assolutamente sostitui­ti dalla conoscenza approfondita del Moro­so de la nona di Giacinto Gallina e questo vale per ogni regione, provincia, comune, frazione e rione. Anche la scienza deve esse­re insegnata secondo questo criterio; l'ope­ra di Galileo, doverosamente obbligatoria nei programmi in vigore in Toscana, deve essere esclusa da quelli vigenti in Lombar­dia e in Sicilia. Tutt'al più la sua fisica po­trebbe costituire materia di studio anche in altre regioni, ma debitamente tradotta; ad esempio, a Udine, nel friulano dei miei avi. Le ronde, costituite notoriamente da pro­fondi studiosi di storia locale, potrebbero essere adibite al controllo e alla requisizio­ne dei libri indebitamente presenti in una provincia, ad esempio eventuali esemplari del Cantico delle creature di San Francesco illecitamente infiltrati in una biblioteca sco­lastica di Alessandria o di Caserta.

Per quel che riguarda la Storia dell’Arte, che Michelangelo e Leonardo se lo tengano i maledetti toscani, noi di Trieste cosa c’en­triamo con il Giudizio Universale? E per la musica, massimo rispetto per Verdi, Mozart o Wagner, che come gli immigrati vanno be­ne a casa loro, ma noi ci riconosciamo di più nella Mula de Parenzo, che «ga messo su botega / de tuto la vendeva / fora che bacalà».

Come ho già detto, non solo l’Italia, ma già la regione, la provincia e il comune rap­presentano una unità coatta e prevaricatri­ce, un brutto retaggio dei giacobini e di quei mazziniani, garibaldini e liberali che hanno fatto l'Italia. Bisogna rivalutare il rio­ne, cellula dell'identità. Io, per esempio, so­no cresciuto nel rione triestino di Via del Ronco e nel quartiere che lo comprende; perché dovrei leggere Saba, che andava inve­ce sempre in Viale XX Settembre o in Via San Nicolò e oltretutto scriveva in italiano? Neanche Giotti e Marin vanno bene, perché è vero che scrivono in dialetto, ma pretendo­no di parlare a tutti; cantano l’amore, la fra­ternità, la luce della sera, l’ombra della mor­te e non «quel buso in mia contrada»; si ri­volgono a tutti — non solo agli italiani, che sarebbe già troppo, ma a tutti. Insomma, so­no rinnegati.

Ma non occorre che indichi a Lei, Signor Ministro, esempi concreti di come meglio distruggere quello che resta dell’unità d’Ita­lia. Finora abbiamo creduto che il senso pro­fondo di quell’unità non fosse in alcuna con­traddizione con l'amore altrettanto profon­do che ognuno di noi porta alla propria cit­tà, al proprio dialetto, parlato ogni giorno ma spontaneamente e senza alcuna posa ideologica che lo falsifica. Proprio chi è pro­fondamente legato alla propria terra natale, alla propria casa, a quel paesaggio in cui da bambino ha scoperto il mondo, si sente pro­fondamente offeso da queste falsificazioni ideologiche che mutilano non solo e non tanto l’Italia, quanto soprattutto i suoi innu­merevoli, diversi e incantevoli volti che con­corrono a formare la sua realtà. Ci riconosce­vamo in quella frase di Dante in cui egli dice che, a furia di bere l'acqua dell’Arno, aveva imparato ad amare fortemente Firenze, ag­giungendo però che la nostra patria è il mondo come per i pesci il mare. Sbagliava? Oggi certo sembrano più attuali altri suoi versi: «Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello!».

Con osservanza"

20/07/09

Il Congresso del PD, Beppe Grillo e la Democrazia Pop


Ilvo Diamanti in un interessante articolo comparso su Repubblica di Domenica 19 Luglio, partendo da Berlusconi e le sue più recenti vicende, arriva alla conclusione che ognuno di noi è contemporaneamente diverse persone, nel senso che “Siamo tutti almeno un poco opportunisti, egoisti, xenofobi, intolleranti, bugiardi, evasori (latenti) trasformisti…. Ma siamo tutti- almeno un poco – anche altruisti, generosi, ospitali, dotati di civismo, sinceri, aperti, felici di stare i comunità. E ci sentiamo tutti- almeno un poco- infastiditi da chi dice bugie, evade, frega il prossimo, tratta male gli altri, è arrogante, prepotente, usa le cose pubbliche come se fossero private e le private come se fossero pubbliche. Tutti, in particolare quando ci trasformiamo in vittime di questi atteggiamenti. Per cui siamo capaci di grandi slanci e grandi chiusure. Per questo ogni raffigurazione unilaterale e caricata è irreale quanto iper reale. E’ la pop art della democrazia pop”.

Quanto avvenuto circa la vicenda tessera a Beppe Grillo, a me sembra una rappresentazione plastica, una traduzione pratica del tipo di democrazia di cui parla Diamanti: Beppe Grillo feroce fustigatore del P.D. che chiede la tessera del P.D. per diventarne il segretario nazionale; un partito che si definisce democratico ma non permette a chiunque di poterne far parte, adducendo motivazioni regolamentari più che di merito; affermazioni di perfetta consonanza con Veltroni e contestuale disconoscimento dell’organizzazione partito (Regolamento e Comitato di Garanzia) da lui voluti; Regolamento del partito, scritto ed approvato a garanzia di tutti (qualsiasi Circolo delle Bocce o Circolo Cacciatori ne ha uno), calpestato e deriso da chi invece dovrebbe farlo rispettare; Comitato di Garanzia (?) vissuto come organo burocratico stile PCUS che non garantirebbe nulla e nessuno se non i potenti di turno; ipergarantismo nei confronti di Grillo, soggetto estraneo al partito, e contestuale intolleranza, fino all’idiosincrasia nei confronti di D’Alema (definito ayatollah)) e di Bersani (il muezzin)….

L’intera vicenda sembra essere quel mix di contraddizioni che contestualmente convivono nella pop art della democrazia di cui parla Ilvo Diamanti. Uno “specchio unico in cui si riflette, ripetuta e dilatata all’infinito, l’immagine del berlusconi- che –è- in- noi., fino a frapporla al nostro profilo”.

E’ una condizione inquietante e potenzialmente disgregante, quasi di pessoiana memoria, in quanto può contribuire a frantumare ulteriormente, se non ad affossare, il partito.
Nello stesso tempo si presta ad essere colta come occasione per spostare la discussione congressuale (anche) su temi propri e/o prossimi alle battaglie civili di Grillo, quali ambiente, istruzione, immigrazione. Sul futuro più che sul passato. Declinando al presente i valori di libertà, fratellanza ed eguaglianza, costitutivi del Partito che vorremmo ed in cui osiamo ancora sperare, nonostante tutto.

Federico Troisi

Svendono l’Italia solo per fare cassa

Giulia Maria Crespi: il piano casa, rovina irreversibile

ROMA—«Stanno svendendo l’Italia solo per ricavare un utile immediato. Sul paesaggio, sul territorio italiani non c’è più da nutrire preoccupazione: ma autentica disperazione. Sarà una rovina irreversibile di cui soffriranno le nuove generazioni. E poi ne risentiranno il turismo, che abbandonerà il nostro Paese, e già sta avvenendo. Poi la salute, l’identità, le radici stesse degli italiani». Giulia Maria Crespi parla dalla sua casa in Sardegna, ma è in continuo collegamento con gli uffici del Fai, il Fondo ambiente italiano, trust privato che negli anni è riuscito a sottrarre straordinari beni culturali italiani alla speculazione e alla scomparsa. Un’esperienza citata in Europa come un modello di tutela in mano ai privati.

Qual è la ragione del suo allarme, signora Crespi?
«Prima di tutto la sorte del Codice dei Beni culturali, varato dal ministro Giuliano Urbani, in mezzo a mille difficoltà, sotto il precedente governo Berlusconi e concluso da Francesco Rutelli. Sandro Bondi mi aveva dato la sua parola d’onore davanti a quattro testimoni che la parte relativa al paesaggio sarebbe entrata in vigore a gennaio scorso, poi a giugno di quest’anno. Infine lo slittamento alla fine di dicembre... ».

Parla dell’articolo 146 che attribuisce ai soprintendenti il potere di esprimere un parere obbligatorio e vincolante sugli interventi nelle aree protette e che non è ancora andato in vigore?
C’è un regime di proroga... «Penso proprio a quel problema. I soprintendenti calano di numero e hanno sempre meno mezzi a disposizione. Ora c’è questa proroga che consente ai soprintendenti di pronunciarsi solo a cose fatte, a progetto varato. Intanto le regioni stanno approntando i loro piani. Il Veneto prevede la possibilità di intervenire nel 40% del territorio. La Lombardia nel 35% con la possibilità di intervenire anche nei parchi regionali. Allucinante. L’Umbria le sta seguendo. Altra tragedia: ora i comuni permettono ai costruttori di autocertificarsi l’idoneità del progetto. Sono insegnamenti che definirei di gravissimo scadimento morale dell’intero sistema italiano».

Bondi ha assicurato che la proroga finirà a dicembre...
«Spero. Anche se non ci credo più. Senza il Codice completo, il Piano Casa potrà avere effetti devastanti, purtroppo irreversibili sul paesaggio».

Dice però Berlusconi: con le nuove regole del Piano Casa verranno rimessi in circolazione tra i 70 e i 150 miliardi di euro ora inoperosi nelle banche. Non temete di apparire come ostacoli alla ripresa dell’economia?
«Questo è quello che dice Berlusconi, poi bisogna vedere se gli effetti economici saranno davvero quelli... Ma io guardo al futuro. Il Piano Casa prevede la possibilità di abbattere vecchi edifici, di aumentarne la cubatura, di stravolgere insomma interi panorami. Unico Paese in Europa: guardiamo cosa avviene in Francia o altrove. Ma qui non c’è solo il Piano Casa. È tutto un sistema... ».

A cosa si riferisce in particolare, signora Crespi?
«Ho tanti altri esempi che addolorano solo al pensarli. In Lombardia, nel cuore del parco del Curone, cioè della Brianza ancora ben conservata, un meraviglioso parco di 2.700 ettari, è pronto uno studio di fattibilità per permettere alla società australiana Australian Po Valley, per il 50% di proprietà Edison, di estrarre petrolio. Petrolio lì! Con conseguente emissione di acido solforico che avrà un’azione intossicante nell’arco di dieci chilometri, col problema dello smaltimento dei fanghi. Tutti i 21 comuni, di qualunque colore, e la provincia di Lecco protestano ma non hanno potere di bloccare il piano perché è stato dichiarato di pubblica utilità! Come si può solo immaginare tutto questo?».

Altri esempi che la preoccupano?
«Ho ancora un esempio legato alla Lombardia che, nel suo piano prevede la possibilità di intervenire addirittura nelle aree protette. Per esempio nel meraviglioso Parco Agricolo Sud: 47 mila ettari! Altro massacro che resterà indelebile che distruggerà un’area ricca di fontanili antichi, terreno ad alta fertilità, piena di antiche abbazie e cascine forzesche. Un polmone verde per i milanesi».

Se la prende con questo governo?
«Io credo che ormai circoli un ragionamento trasversale: fare soldi subito. E poi, dopo di me il diluvio. Lo disse Luigi XV, ma dopo ci fu la Rivoluzione francese. E dopo, per noi, ci sarà solo un territorio devastato per sempre. E qui nessuno è più sensibile. Non lo è la destra. Ma non lo è nemmeno la sinistra: neanche l’attuale opposizione colloca l’ambiente tra le sue priorità. Anzi, se ne disinteressa totalmente. Guardiamo cosa sta avvenendo in Toscana e presto in Umbria... Rimaniamo solo noi associazioni: Fai, Italia Nostra, Lipu, Wwf. Siamo visti da tutti come scomodi cretini. Poi, un giorno, forse qualcuno dirà che quegli scomodi cretini avevano ragione. Ma sarà troppo tardi. Un padre non svende la figlia per far cassa. Qui, lo ripeto, stanno svendendo la nostra Italia davanti all’indignazione del resto d’Europa».

di Paolo Conti
20 luglio 2009
da Corriere.it

Più sono agitatori e ribelli più pensano alla carriera

In quarant'anni ho visto molte agitazioni di studenti: alla Cattolica, a Trento, a Roma e posso dire che spesso quelli più accaniti nel protestare, quelli che attaccano con più durezza le istituzioni e il potere, in seguito hanno fatto carriera e raggiunto elevate posizioni sociali ed economiche. Non sto però parlando dei leader carismatici.
Questi possono creare un partito, ma non fanno carriera in altre istituzioni, non si insediano in cariche formali. Pensiamo a due leader del movimento studentesco del 1968: Mauro Rostagno e Mario Capanna. Uno è stato ucciso dalla mafia, l'altro è rimasto un intellettuale. I leader carismatici hanno una visione, credono nella possibilità di un mondo diverso. Anche quando sono adorati non si considerano superiori agli altri. Se li avvicini senti di aver incontrato un uomo che ti ascolta, che ti capisce.
Che hai davanti uno come te, solo con una fede più grande, una visione più ampia, un cuore più generoso. Gli agitatori di cui parliamo, anche se molto attivi, invece non hanno una visione, un sogno. Si lasciano trascinare da quello degli altri, gli danno voce, lo utilizzano per affermare se stessi. Attaccano il potere, denunciano l'autoritarismo, invocano la libertà e dure punizioni per i malvagi, ma nel profondo aspirano solo a rimpiazzare — convinti certo di fare meglio di loro—gli uomini che vogliono abbattere. In seguito, quando il movimento sarà finito e sulla sua spinta sorgeranno partiti, giornali e imprese, si identificheranno con queste nuove forze, si daranno da fare e faranno carriera al loro interno.
E se lo spirito dei tempi cambierà ancora sapranno identificarsi con esso un’altra volta. Agiscono cioè come un imprenditore che, volta per volta, interpreta i nuovi bisogni del consumatore e ha successo. Ma per distinguere questi due tipi umani non c'e bisogno di vedere cosa faranno nel resto della vita. Puoi distinguerli gia all'inizio. I puri agitatori, i puri demagoghi non hanno la ricchezza umana dei capi e non ne hanno l'umiltà. Anche se parlano della libertà e della giustizia in nome del popolo e degli oppressi, senti che loro si considerano diversi, superiori ai seguaci .
Fin dall'inizio sono «in carriera», si muovono per occupare posizioni sempre più elevate. Il vero capo carismatico invece è a un tempo superiore a tutti eppure uguale al più piccolo. Egli non fa carriera: è immediatamente il capo assoluto oppure non è nulla. Come Garibaldi, ora dittatore onnipotente, ora contadino a Caprera.
di Francesco Alberoni
20 luglio 2009
da corriere.it

19/07/09

Il nucleare triplica i costi

A oscillare violentemente non sono solo le quotazioni del petrolio. Per l’energia nucleare una sorpresa è venuta dal Canada. Aprendo le buste delle offerte per la costruzione a Darlington di due reattori ad acqua pesante da 1.200 megawatt si è scoperto che la proposta dell’AECL (Atomic Energy of Canada Limited) era 26 miliardi di dollari, 18 miliardi e mezzo di euro al cambio attuale. Troppo? Con la seconda busta, quella dell’Areva, il colosso atomico francese, è andata poco meglio: 23,6 miliardi di dollari per due Epr da 1.600 megawatt (ma con minori garanzie su possibili futuri extracosti). Siamo a un prezzo per chilowattora che è quasi tre volte quello su cui si è basato l’accordo per realizzare a Olkiluoto, in Finlandia, un reattore di terza generazione, la filiera che dovrebbe rilanciare il nucleare dopo la lunga stasi che ha visto 30 anni di blocco degli ordini negli Stati Uniti e una stagnazione nei paesi occidentali.Il progetto finlandese procede a rilento provocando dispute giudiziarie e un forte innalzamento dei costi e queste difficoltà sono alla base della decisione dell’Edf, l’ente elettrico francese, di chiedere un aumento del 20 per cento delle tariffe. Ora anche in Ontario è arrivato un alt. Alle tariffe proposte il nucleare viene giudicato poco conveniente dal governo canadese che riteneva di poter chiudere il contratto attorno ai 7 miliardi di dollari e si è ritrovato una richiesta tre volte e mezzo più alta. Il premier Dalton McGuinty si è consolato affermando: «Se non altro lo abbiamo scoperto per tempo».
Dal Blog di Aldo Cianciulli su La Repubblica .it

24/01/09

05/01/09

".....si sega soltanto il ramo su cui si sta seduti"

Primarie vere incentrate sui programmi
di Giuseppe Ossorio

articolo apparso su "la Repubblica" sabato 13 dicembre 2008

L’ex Ministro Fioroni, in qualità di responsabile dell’organizzazione del Pd, viene a Napoli per discutere delle primarie, attraverso le quali si dovranno selezionare i dirigenti e gli eletti del Partito. Su invito della direzione provinciale, ho redatto, assieme alla Commissione, un regolamento attuativo per le primarie, documento che l’Assemblea provinciale dovrà vagliare ed approvare.
Non sono, dunque, sospettabile di essere contrario alle primarie, e nemmeno di sottovalutarle come, ancora in tanti, fanno nel mondo politico italiano. Rappresentano infatti uno strumento essenziale, perché è mutata la natura e la struttura dei partiti. Partiti leggeri, privi di reale strutturazione sul territorio, a differenza di quelli, grandi e piccoli, della cosiddetta prima repubblica, rischiano di diventare dei puri comitati elettorali utili soltanto ai gruppi dirigenti già consolidati. Non esistendo più le vecchie sezioni, i tanti congressi che si svolgevano con decine e decine, e a volte centinaia, di militanti, dalle grandi città ai comuni più piccoli, non si saprebbe come selezionare la classe dirigente se non attraverso il metodo della cooptazione.
Le primarie, dunque, sono, allo stato attuale, l’unico strumento reale che possa selezionare democraticamente, e sottolineo democraticamente, i vari organismi di partito e garantire una struttura flessibile ma realmente rappresentativa.
Ma il punto è: le primarie devono essere vere e non mascherate, come troppo spesso è già accaduto nelle varie tappe di formazione del Partito Democratico.
Se esse dovessero essere usate, qui in Campania, soltanto come uno strumento propagandistico sul piano esterno, ed una clava per abbattere gli attuali rappresentanti in favore di altri, meno rappresentativi e meno radicati, sarebbe un imbroglio e un’ingiustizia. E allora, l’unico sistema che io vedo perché le primarie possano essere concretamente funzionali all’innovazione e al rilancio del Pd è quello di fondarle su chiare e precise linee politiche in competizione. Bisogna smettere di usare le categorie demagogiche e vuote di vecchio e nuovo, di continuità e discontinuità. Bisogna invece mettere in campo un dibattito politico incentrato su due questioni fondamentali: il senso che si vuol dare al riformismo del Partito democratico con l’indicazione delle relative e conseguenti alleanze strategiche e il programma economico-sociale che ci si propone di sviluppare nei prossimi cinque anni di vita amministrativa della Provincia e, poi, della Regione e della città di Napoli.
Per ora, da quelli che mettono in discussione l’attuale stato delle cose non è ancora venuta una proposta concreta né sul primo né sul secondo versante. Se non si fa questo, si sega soltanto il ramo su cui si sta seduti e, inevitabilmente, si crolla tutti a terra.
E’ già successo, in parte, con il governo Prodi. Il nuovo Pd ha delegittimato il suo stesso governo ma non è riuscito a proporre una chiara e forte alternativa se non nell’affermare orgogliosamente di voler “andare da soli” in vista di una possibile vocazione maggioritaria del partito stesso. Troppo poco per convincere la maggioranza degli italiani.
Analogo errore stiamo commettendo nella nostra regione. Ciò che invece, a mio modo di vedere, il Partito democratico dovrebbe fare qui è elaborare e proporre, nei prossimi mesi, un programma nitido, semplice, di rilancio civile ed economico, e soprattutto in sintonia con le vere esigenze dei cittadini. Attorno a questo programma può costruire i gruppi dirigenti e le nuove alleanze lasciando che le attuali amministrazioni svolgano fino in fondo il ruolo che gli elettori hanno assegnato loro. Tutto il resto o è fredda ingegneria istituzionale, che non appassiona nessuno e non ha credibilità, oppure è una faida interna che si nasconde dietro paroloni e vuota retorica.