In piazza per fingere che la democrazia non è un'opinione
Gli italiani riscoprono le piazze. Sembravano un po' dimenticate, negli ultimi tempi.
Luogo di passeggio e di turismo, le piazze storiche. Mentre le "nuove" piazze, semplicemente, non esistono. Sono "altro". Spiazzi inseriti in mezzo a urbanizzazioni artificiali. Ad agglomerati immobiliari costruiti senza nesso con la domanda sociale. Piazze senza persone. O traversate da persone di passaggio. Che si lanciano uno sguardo distratto e un cenno imbarazzato, se per caso si incrociano. Non piazze, ma aree senza vita sociale. Ridotte a parcheggi. Dedicate al passeggio con il cane.
D'altronde, le attività pubbliche a cui erano dedicate le piazze si sono, in parte, trasferite altrove. I mercati. Ma soprattutto la politica. Concentrata e dislocata in altri luoghi. Due, soprattutto. Il Palazzo e i Media - in particolare la Tivù.
Il Palazzo, dove si decide, dove agiscono coloro che decidono. Lontano dalla società.
La Tivù, dove gli uomini politici, divenuti attori, si mostrano ai cittadini, trasformati in spettatori. E lanciano i loro slogan, elaborano e propongono la loro immagine.
Per questo, le piazze, dove è nata la democrazia hanno perduto visibilità. O meglio: avevano. Perché oggi sembrano ritornate. Luoghi affollati di manifestazioni politiche. Dove, alla vigilia delle elezioni regionali, non si manifesta per un candidato. Ma, perlopiù, si protesta e si grida. NO.
No a Berlusconi e al furto della legalità. Sabato scorso.
No alla sinistra e ai magistrati. Oggi. No al complotto contro la democrazia ordito da chi non accetta la volontà del popolo sovrano. E vorrebbe cacciare il leader eletto. Dal popolo sovrano;
Così le piazze si riempiono ancora. E il sospetto è che ciò avvenga perché il Palazzo è divenuto - ma soprattutto "appare" - troppo lontano dalla società. E cittadini non ne ascoltano più la voce. Il richiamo. Neppure quando è utile - al Palazzo. Alla vigilia del voto. Così, per paura del vuoto, si cerca di riempire le piazze. In modo da offrire lo spettacolo - e la voce - della politica in Tivù, dove sulla politica è sceso il silenzio. Per legge. In modo da mostrare il "popolo sovrano", che altrimenti esprime la sua sovranità una volta ogni tanto (oppure "ogni poco"), alle urne. Ed è evocato, ogni giorno, sotto forma di Opinione Pubblica, mediante percentuali, raccolte nei sondaggi. Ma la Democrazia ha bisogno di riti. Gli elettori, la "gente" non possono essere ridotti a numeri silenziosi, recitati in tivù, oppure dal leader. A conferma del proprio consenso personale. Così si assiste al ritorno - intermittente - della piazza. Nell'epoca in cui trionfa la democrazia dell'opinione, serve a dimostrare che la democrazia non è un'opinione. E che la democrazia rappresentativa non se la passa troppo bene.
di Ilvo Diamanti
da Repubblica .it (19 marzo 2010)
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